In questi giorni ha avuto una qualche eco sui quotidiani nazionali la notizia che il presidente della Repubblica, recependo un parere del Consiglio di Stato, ha annullato un’ordinanza del sindaco di Molinella, un comune in provincia di Bologna, con la quale si vietava qualsiasi forma di mendicità nei luoghi pubblici. Il parere del Consiglio di stato richiama due sentenze della Corte costituzionale, che in passato si è espressa contro la penalizzazione della mendicità quando non è vessatoria, molesta o lesiva della libertà di terzi. Il semplice chiedere l’elemosina, in altre parole, non può costituire reato, né tantomeno - conferma il Consiglio di Stato - può essere sanzionata da un divieto amministrativo come quello oggetto dell’ordinanza in questione.
Questa decisione ha una portata limitata, dal momento che riguarda l’annullamento di un’ordinanza che valeva solo sul territorio di un piccolo comune e che di fatto, nei due anni trascorsi dalla sua emanazione, era già stata superata da altri provvedimenti su materie analoghe. Ma ha giustamente attirato l’attenzione della stampa nazionale, perché è in evidente controtendenza rispetto a un sentire politico diffuso che tende ad accreditare anche il semplice «decoro urbano» come ragione sufficiente per la limitazione di libertà civili fondamentali. Inoltre, guardare alle ragioni dietro a questa decisione può essere utile a ricordare perché anche libertà apparentemente minori, irrilevanti e indegne, come la libertà di mendicare, non possano essere sacrificate a cuor leggero.
In realtà può sembrare ovvio che anche in questa occasione, così come anche in altri casi analoghi, le norme repressive debbano essere rifiutate non tanto nel nome di un astratto principio di libertà, ma per il motivato timore che possano finire per aumentare le vessazioni nei confronti dei più svantaggiati o dei cosiddetti «marginali»; oppure, nel caso specifico, si può ritenere che debbano essere rifiutate in nome del bisogno, ossia in vista del pericolo che in questo modo si privino le persone interessate dell’unico modo di provvedere al proprio sostentamento. La stessa associazione che ha difeso il diritto di mendicare contro l’ordinanza di Molinella, nel ricorso presentato al presidente della Repubblica, ha invocato l’illecito utilizzo di un potere d’urgenza «per fare guerra alle persone povere che chiedono un aiuto».
Tuttavia, vale la pena ricordare perché la questione fondamentale che occorre sollevare anche in questo caso è innanzitutto una questione di libertà. Più specificamente, nel caso del diritto di mendicare, sono in gioco due dimensioni fondamentali della libertà. La prima è la libertà di espressione. L’idea fondamentale che sta dietro alle sentenze di diverse corti americane e di alcuni Paesi europei che hanno riconosciuto il mendicare come una forma di discorso degna di tutela è che l’atto di mendicare comporta la manifestazione di un’istanza e la rappresentazione di una condizione sociale nello spazio pubblico e dunque - come ogni altra forma di espressione legittima - non può essere censurato attraverso atti coercitivi, specie se questi ultimi sono esattamente mirati ad evitare che il pubblico sia esposto a tali forme di comunicazione. La seconda dimensione della libertà personale che è coinvolta nel diritto di mendicare riguarda invece propriamente il diritto di scegliere come vivere. Questa idea può sembrare paradossale, dal momento che chi mendica, si può supporre, non è in condizione di compiere alcuna scelta. E tuttavia è proprio a partire dal rovesciamento di questo presupposto che si può comprendere il significato del riconoscimento della libertà di mendicare come una libertà di scelta personale. Come già risultava chiaro a Domingo de Soto, autore di una delle più belle difese del diritto di mendicare in epoca moderna, la soppressione della dignità delle persone comincia esattamente nel momento in cui le si guarda esclusivamente sotto la luce della necessità, pretendendo di saper scandagliare e conoscere tutte le loro motivazioni, opzioni e bisogni. È sulla base di questo presupposto che l’ordinanza del sindaco di Molinella prevede che contestualmente al divieto di mendicare nel territorio comunale vengano anche messi in atto tempestivi interventi assistenziali nei casi di appurata «effettiva indigenza».
Questo sembra guardare lucidamente alla realtà dei fatti e allo stesso tempo riconoscere i legittimi bisogni delle persone interessate. Tuttavia, se non esiste la libertà di mendicare, l’assistenza per chi è indigente non è più un diritto, ma un percorso obbligato, in cui si entra solo una volta che sia stato appurato e certificato che non si è in grado di provvedere a se stessi. Per converso, i percorsi di inclusione e di assistenza possono rispettare la dignità delle persone solo nella misura in cui prima di tutto si riconosce il loro status di agenti a pieno titolo; ma il riconoscimento di questo status avviene esattamente attraverso attribuzioni di libertà.
In altre parole, guardare al diritto di mendicare sotto la luce della libertà, anziché quella del bisogno, comporta guardare agli individui interessati non semplicemente come «marginali», ma - a dispetto della loro condizione di indigenza - come agenti, anziché meri pazienti, e come membri della comunità politica democratica, titolari di un diritto di parola che non può essere censurato. Il caso di una libertà apparentemente minore, fastidiosa e indegna come quella protetta dal diritto di mendicare può essere utile a ricordarci che la posta in gioco, anche nella difesa di queste piccole libertà, è un principio fondamentale di trattamento delle persone come dotate di eguale status che costituisce il senso stesso dell’etica di una società liberale e democratica.
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