Non basta l’infinita crisi economica che piega speranze e progetti, facendo emigrare tanti giovani alla ricerca di un presente e futuro decenti. Non basta che parte della maggioranza minacci ogni giorno il governo di cui fa parte di ritirare il proprio appoggio se il proprio leader e proprietario dovrà sottostare a un giudizio, ed eventualmente essere condannato, come ogni comune mortale; quasi che l’aver ottenuto milioni di voti costituisca una sorta di salvacondotto dalla legalità. Non basta neppure che l’altro pezzo della maggioranza faccia di tutto per offrire quel salvacondotto. Non basta che il nostro governo abbia di fatto avallato, per incapacità o complicità, la consegna di una donna e di una bambina a chi la pretendeva per poterla tenere in ostaggio per i propri fini politici. E che i sodali politici del ministro degli Interni Alfano, così pronto a denunciare la – del tutto giustificata – celerità della Corte di cassazione nei confronti di Berlusconi tacciano di fronte alla fin troppo sospetta e illegittima fretta con cui quel ministero ha proceduto alla espulsione e al rimpatrio forzato di quelle due persone e ora facciano quadrato a difesa dello stesso ministro, anche a costo di avallarne l’incompetente irrilevanza.
La misura non era abbastanza colma per farci vergognare, non di essere italiani, ma di far parte di un Paese così mal rappresentato. Occorreva anche che un vicepresidente del Senato, per altro non nuovo a questo tipo di battute, riuscisse nel capolavoro di coniugare al massimo grado razzismo e maschilismo, accostando la ministra Kyenge a un orango, salvo dire che si trattava di una battuta in un comizio: come se si trattasse di un’attenuante e non di una aggravante. Perché se questo è il livello del discorso pubblico politico, se ciascun politico può impunemente insultare pesantemente chi gli dà fastidio – giudici, ministri, giornalisti, antagonisti politici – solleticando gli umori più incivili e ferini del proprio elettorato, il degrado diventa intollerabile e rischia di diventare irreversibile.
Rischiamo di diventare una società non solo incapace di garantire un minimo di sicurezza a molti dei propri cittadini, e pronta a vendere i propri ospiti a qualche potente sufficientemente persuasivo, ma una società dove si è smarrito il senso della misura, delle regole basilari della convivenza civile: una società profondamente incivile. Il rifiuto della Lega di chiedere al proprio rappresentante di dimettersi almeno dalla carica di vicepresidente del Senato, perché “ha chiesto scusa”, e l’avallo interessato che ha ricevuto dal partito di Berlusconi e Alfano, testimonia come non si tratti più solo di un rischio circoscritto, ma di un pervasivo degrado della sfera pubblica.
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