Il Movimento 5 Stelle m’incuriosisce da tempo, perché pone – talvolta a sua insaputa – questioni formidabili sul modo d’intendere oggi il funzionamento della democrazia o, se si vuole, d’attuare quella disposizione della Costituzione secondo cui «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49).
La citazione non è causale, perché credo (nel vero senso di credenza, forse ingenua, vista la lotta per la Costituzione degli ultimi vent’anni) che ogni discussione su questioni rilevanti per la vita pubblica debba essere ricondotta ai principi e alle regole poste dalla Costituzione repubblicana, che può avere un fondamento sicuro solo in questo modo, cioè grazie a questa consuetudine – quanto più possibile condivisa – o norma di riconoscimento secondo MacCormick, la quale orienta, anzi è essa stessa giudizio di ragion pratica.
Tutte le democrazie occidentali stanno attraversando un momento storico in cui i costi per le campagne elettorali hanno raggiunto cifre iperboliche, anzitutto negli Stati Uniti, perché (è il caso più eclatante) nelle ultime elezioni presidenziali la cifra overall spending per Obama è stata $ 1.112.041.699 dollari e $ 1.246.902.432 per Romney (www.opensecrets.org).
Proprio negli Stati Uniti la discussione addirittura infuria sui cosiddetti superpack, cioè organizzazioni indipendenti dai partiti per la raccolta di denari a sostegno di iniziative politiche dei partiti stessi (leggete J. Bennet, The New Price of American Politics, su The Atlantic on line).Quella discussione si svolge per definire regole più stringenti (maggiore trasparenza) o per accrescere la portata di fuoco dei superpack (più denari), ma anche per mettere in discussione sotto un profilo di etica pubblica il fatto stesso che così tanti denari – non importa se provenienti da privati e per cosa impiegati – debbano essere spesi per far eleggere un candidato o appoggiare una decisione pubblica.
In Italia – paciosamente seduti sui binari di un treno in arrivo – il fenomeno resta poco studiato e conosciuto, anche perché difficile da analizzare. Anzitutto la divulgazione dei contributi dai privati ai partiti (entità, nomi) è rara, spesso rimessa al buon cuore degli interessati, cioè dei donatori e dei partiti stessi che non indicano i dati per ragioni di riservatezza (sì, la privacy) dei donatori, i quali – appunto – non danno il consenso alla divulgazione dei dati. Vale poi per i contributi pubblici ai partiti soprattutto la regola dei rimborsi elettorali (un tanto al chilo, cioè al voto, bono et aequo), che – oltre la questione se i partiti debbano ricevere denari dall’Erario – lascia in bocca il retrogusto amaro di un criterio da mercato ittico all’ingrosso (per norme e dati si veda questo dossier dell’Ufficio studi del Senato con il Rapporto 2012 sull’Italia del Groupe d’Etats contre la corruption).
Ecco che invece in questi ultimi mesi il Movimento 5 Stelle dimostra di aver condotto una campagna elettorale non solo efficace, ma soprattutto poco dispendiosa, basata solo su donazioni private (attendo con curiosità tutti i relativi dati, oggi qui non disponibili) e sul volontariato di persone che gratis hanno prestato la propria attività.
È certo che questo malaugurato sistema d’elezione ha quasi annullato per tutti i partiti le occasioni e quindi i costi per le forme tradizionali di pubblicità elettorale (le affissioni, i santini, gli opuscoli, ecc.) deprimendo il glorioso mercato degli attacchini e delle tipografie, e ha diminuito in misura diversa anche quelle meno tradizionali (gli spot in tv e radio) e quelle nuove (il cd. marketing politico per telefono, su Internet e nei social media). Il che ancora una volta pone in discussione la ragionevolezza dei rimborsi elettorali “un tanto al voto” e al contempo spinge a chiedersi per cosa il Movimento 5 Stelle abbia speso i (pochi) denari a disposizione.
La risposta – salvo sorprese – non può che essere il marketing politico in Rete e soprattutto l’organizzazione dei comizi, un genere artistico di comunicazione politica che pareva smarrito e che invece nel freddo di quest’inverno italiano ha ritrovato uno straordinario successo.
Quindi? Quindi – oltre all’ovvia constatazione che la campagna elettorale del M5S ha accoppiato efficacemente il vecchio e il nuovo – occorre riconoscere che i soldi sono stati pochi e ben spesi, anche perché la campagna stessa in un grande Paese come l’Italia ha recuperato l’attività diretta, volontaria, dei membri all’organizzazione di partito, con un entusiasmo e una partecipazione popolare che debbono sorprendere, almeno ora e a partita chiusa.
Sì, un partito, oltre le distinzioni spesso incerte che di se stesso dà il M5S, il quale ha voluto con la partecipazione alle elezioni «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (di nuovo art. 49 Cost.). E a un soggetto del genere la Costituzione assegna il nome di partito.
P.S. (che non è poi un semplice post scriptum): sinora non ho citato il nome di Beppe Grillo, né tanto meno il deplorevole termine «grillini». La persona – almeno a me – è simpatica, ma la simpatia non basta certo a legittimare un “liderismo” che è comprensibile in un primo periodo più o meno lungo (la “nascita” del partito), può divenire pericoloso nel futuro.
Né varrebbe sostenere che così avviene da tempo anche negli altri partiti, perché il liderismo e la guerra per fazioni in diverse forme inquina da secoli la vita politica italiana, dove il vero problema è riuscire a parlare all’intero, cioè al popolo o alla Nazione (artt. 1 e 67, Cost.), non solo alle parti. D’altronde, la stessa pratica delle primarie della sinistra, oltre la straordinaria, quasi commovente partecipazione delle persone, cela l’idea, appunto, che occorra scegliere un leader, molto meno le sue proposte o la sua “visione del mondo”.
Se le promesse debbono essere prese sul serio (e io direi di prendere questo partito sul serio, malgrado le non entusiasmanti parlamentarie online: qui uno studio dell’Istituto Cattaneo), guardando oltre questo momento convulso e la persona di Grillo, forse il vero apporto alla democrazia italiana che potrà dare il M5S non sarà l’introduzione di ulteriori forme di democrazia diretta nelle istituzioni rispetto a quelle già previste in Costituzione, ma piuttosto una maggiore democraticità nei partiti che per gran parte della storia repubblicana si sono sottratte a un vero «metodo democratico» (giuridicamente non sono forse semplici associazioni, che dunque al loro interno fanno ciò che vogliono?), reggendosi invece su sistemi opachi d’organizzazione (il famigerato controllo delle tessere).
Un tema mai veramente discusso che ha sempre condizionato lo stesso funzionamento delle istituzioni pubbliche italiane, le quali non possono che essere lo specchio dei partiti e – prima ancora – degli interessi e delle persone che le une e gli altri rappresentano.
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