La transizione pacifica. Dopo Mubarak e Gheddafi un'altra personalità di primo piano della scena politica africana è scomparsa: Meles Zenawi, primo ministro dell’Etiopia dal 1991, è morto la scorsa estate, all’età di 57 anni, in un ospedale del Belgio.
Da oltre due decenni al potere, Meles è restato a capo della coalizione di governo, l’Ethiopian People's Revolutionary Democratic Front (Eprdf), grazie a un susseguirsi di elezioni che ne hanno sistematicamente confermato la leadership. Oggi in Etiopia l’esaltazione mediatica della sua figura sembra voler celare il timore del vuoto di potere lasciato dalla sua scomparsa. Non bisogna però dimenticare che all’eccezionale crescita economica registrata dal Paese sotto il suo governo, ha corrisposto una rigida chiusura verso ogni forma di dissenso. Le elezioni del 2005, e le successive nel 2009, sono state dei tragici esempi di autoritarismo e di violazione dei diritti umani e politici. Nonostante ciò, gli episodi di repressione non hanno mai raggiunto sufficiente visibilità nei media europei e statunitensi, troppo occupati a mostrare il volto migliore del loro alleato africano.
Se, da un lato, l’Europa e gli Stati Uniti vedevano nell’Etiopia un sicuro garante nella lotta al terrorismo internazionale e al mantenimento della sicurezza regionale, dall’altra, Meles stesso usava le leggi anti-terrorismo per imporre i suoi interessi politici e per controllare e reprimere la libertà di parola e di dissenso. Il sostegno internazionale alla sua politica non è riducibile alle sole potenze occidentali, ma anche agli ingenti interessi economici di Russia e Cina, mentre altri Paesi africani quali il Sudafrica, il Kenya, il Gibuti, la Nigeria e il Ruanda, hanno a più riprese mostrato la propria simpatia nei confronti del ruolo giocato da Meles nella politica regionale.
In seguito alla sua scomparsa, l’Eprdf ha subito avviato una transizione pacifica, la prima nella storia moderna dell’Etiopia, attraverso la nomina di Hailemariam Desalegn con la doppia carica di primo ministro e, significativamente, di inistro degli Affari Esteri. La sua nomina era già prevista, ma per il 2015, anno in cui Meles avrebbe dovuto ritirarsi, secondo la politica di “ricambio generazionale” voluta dall’Eprdf.
Protestante, originario delle regioni del sud, Hailemariam rompe con la tradizione dei suoi predecessori, tradizionalmente cristiani ortodossi e dell’altopiano etiopico. La sua nomina sarebbe il frutto di un compromesso all’interno dell’Eprdf. Quest’ultimo è costituito dai quattro partiti regionali: il Tigray People's Liberation Front (Tplf), l’Oromo People's Democratic Organisation (Opdo), l’Amhara National Democratic Movement (Andm) e il Southern Ethiopian People's Democratic Movement (Sepdm). Secondo alcuni analisti, la scelta per un membro dell’Sepdm è stata il risultato dei calcoli politici delle diverse fazioni. L’elezione come successore a Zenawi di un altro esponente tigrino sarebbe stata infatti inaccettabile, di conseguenza il Tplf avrebbe preferito sostenere un candidato del sud, per controbilanciare il potere crescente degli oromo e degli amhara e preservare la propria influenza; anche l’Opdo pur avendo preferito un successore oromo, avrebbe finito per sostenere Hailemariam in funzione anti-amhara.
L’apparato politico etiopico si fonda su un federalismo etnico che può portare a pericolose derive, mentre i conflitti etnici e regionali, le tensioni sociali e i numerosi appelli all’apertura del processo di democratizzazione rimangono questioni cruciali ancora aperte.
“Stabilità” appare la parola d’ordine per gli attori economici internazionali quando si parla del futuro assetto politico dell’Etiopia post-Zenawi. Ciò non toglie che la richiesta di riforme politiche e sociali è crescente e il governo dovrà risponderne.
In seguito alle preoccupazioni avanzate dagli organismi internazionali, lo stesso Hailemariam avrebbe affermato di voler rinforzare la democrazia e la tutela dei diritti umani nel Paese, lavorando “con le organizzazioni di tutela dei diritti umani, la commissione elettorale nazionale e alcuni partiti d’opposizione”. Resta da vedere in quali termini questo processo sarà condotto.
La transizione avrà delle implicazioni decisive non solo per la politica interna, ma anche per la sicurezza dell’intera regione, dalla Somalia all’Eritrea. Qualche mese prima della sua scomparsa Meles Zenawi aveva affermato l’intenzione di cambiare le politiche o il governo dell’Eritrea, “per via diplomatica, politica o attraverso altri mezzi” ("Africa Business", 20 ottobre 2012). Dopo Meles e Gheddafi, sarà il turno del presidente dell’Eritrea, a capo del Paese dal 1993? Già ad aprile il governo eritreo aveva dovuto smentire le voci che circolavano sulla sua scomparsa, denunciate come un tentativo di destabilizzazione interna. Le svolte politiche dei due Paesi sono state intimamente legate in passato, e forse lo sarà anche il loro futuro.
Molte incognite rimangono aperte sugli sviluppi futuri, ma certo è che le scelte del nuovo assetto politico in Etiopia avranno un forte impatto nel Corno d’Africa.
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