La parola d’ordine, assolutamente trasversale, è «rompete le righe». I quasi quarantamila elettori di Belluno, chiamati alle urne per scegliere il loro sindaco, trovano di fronte a loro un’offerta frastagliata già a partire dai numeri: ben nove candidati e sedici liste, contro i soli tre concorrenti del 2007. Lo è ancor più nella proposta politica, a partire dai due principali schieramenti: centrodestra e centrosinistra esibiscono due candidati a testa; e anche alla Lega si contrappone un’alternativa autonomista. Dietro ai nomi che compaiono nella scheda si agita una turbolenza in cui è difficile orientarsi per il cittadino comune. La candidata sindaco del centrosinistra di cinque anni fa, Maria Cristina Zoleo, stavolta è in lista con il sindaco uscente, Antonio Prade (Pdl); il cui vice, Leonardo Colle, lascia il Pdl e si mette alla testa della Lega. Mentre il capogruppo del Partito democratico, Jacopo Massaro, anziché sostenere la candidata ufficiale del partito Claudia Bettiol, si presenta in proprio con un gruppo di transfughi dello stesso Pd e una piccola pattuglia di liste civiche. Insomma, un guazzabuglio in cui, accanto a motivazioni squisitamente politiche, confluiscono ripicche incrociate, regolamenti di conti, e il tacito obiettivo di chi, non potendo vincere, punta almeno a far perdere qualcun altro. Così Belluno, che per tre anni si è vista classificare da Legambiente al primo posto tra le città italiane per sostenibilità dell’ecosistema urbano, si ritrova con un ecosistema politico saturo di veleni e a elevato inquinamento.
Ne sa qualcosa il sindaco in persona che, dopo aver vinto le elezioni del 2007 (53%) per Forza Italia in alleanza con Lega, An e Udc, ha visto via via evaporare la propria maggioranza in un crescendo di polemiche e sgambetti, arrivando alla scadenza naturale della legislatura col fiatone, e con un ultimo schiaffo: pochi giorni fa, il consiglio comunale ha bocciato il bilancio consuntivo del 2011 per mancanza del numero legale, in seguito alla defezione di un terzo dei rappresentanti della maggioranza. A riprova di una politica liquida che non si ferma al Comune: anche in Provincia l’asse Pdl-Lega non ha tenuto, al punto che il presidente Gianpaolo Bottacin, eletto nel 2009, ha dovuto gettare la spugna pochi mesi fa, spiegando di essere stato sabotato per aver scoperto una serie di altarini. Se non si torna alle urne, è solo perché le Province sono state messe in stand-by dal governo.
E’ un clima mefitico dunque quello che si respira nel capoluogo, a dispetto dell’aria salubre delle Dolomiti. Ed è un handicap pesante, per un’area che continua a denunciare un’emarginazione sostanziale dal resto della regione, al punto da rispolverare anche di recente la vecchia voglia di autonomia, venuta a galla fin dalla metà degli anni Sessanta del secolo scorso. Stretti tra due territori a statuto speciale come il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige, i bellunesi reclamano un’attenzione diversa da parte delle istituzioni, che valga, se non a eliminare, quanto meno ad attenuare la penalizzazione di cui si sentono vittime. Ma non sarà certo una politica così spappolata a dare loro una mano.
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