Viviamo ormai in una specie d’incubo: il passato non passa, la fine non si decide a finire. Ma se l’agonia del berlusconismo si prolunga interminabilmente, non è solo perché vent’anni sono più che sufficienti per mettere radici. Il fatto è che Silvio Berlusconi ha finito per identificarsi così profondamente con la politica, l’economia, il costume, l’immagine stessa del nostro Paese, che l’idea di una sua improvvisa scomparsa provoca nei più una sorta di vertigine: oddio, e che succederà mai, dopo? Peggio ancora, è come se facesse comodo a tutti indugiare sulla soglia del futuro, giusto il tempo per autoconvincersi che un ventennio di scandali e di declino ha un solo responsabile: lui, naturalmente, e chi altro?
Così, a ogni ulteriore gradino sceso nella considerazione internazionale e nella nostra stessa autostima, invece di cercare di uscire dall’incubo ci consoliamo con l’idea che toccato il fondo non è ancora finita, c’è ancora terra dove cominciare a scavare. Ci sono economisti così fascinati dal baratro da impegnarsi a calcolare – compiendo confronti con Paesi come il nostro, però dotati di un governo – quanto costi all’Italia ogni giorno di ulteriore permanenza al potere del premier. Ma anche questa idea che un uomo solo possa tenere in ostaggio un intero Paese, non è essa stessa incomprensibile, prima ancora che insopportabile? Come lo spiegheremo ai nostri nipoti, se mai ce lo chiederanno? Il problema, insomma, non è più Berlusconi: è questo Paese di cartone che credeva di aver appaltato a un uomo il proprio futuro. Il problema sono il sistema politico, l’informazione, l’opinione pubblica, la società civile: tutti i circuiti istituzionali, ma anche le singole brave persone in carne e ossa, che dal 1994 accettano di considerare normale una situazione folle, e che ora sembrano ritenerla folle solo perché lo certificano le agenzie di rating. Il problema sono imprenditori che hanno finto di credere al bluff della modernizzazione e della liberalizzazione solo per lucrarne appalti e privilegi, e che ora si candidano pure a salvatori della patria. Il problema è un’opposizione talmente rassegnata a mimare le mosse dell’avversario da paralizzarsi dinanzi alla sola prospettiva di doversi assumere le proprie responsabilità.
Che fare? Alla lunga lista delle cose che ormai propongono tutti – legge elettorale, lotta all’evasione, magari la patrimoniale, naturalmente misure per la ripresa e per i “gggiovani” – aggiungerei solo due postille: una di metodo, l’altra di merito. Sul metodo: naturalmente qualsiasi governo è meglio dell’attuale, però, solo un governo di tutti, ma proprio di tutti – esclusi solo i cortigiani e le cortigiane – può prendere decisioni dolorose senza il timore di doverle pagare elettoralmente il giorno dopo. Sul merito: il declino di questi anni è stato segnato, in nome di una ridicola eccellenza, da scelte classiste sulla sanità, sulla scuola, sui trasporti, su tutti i servizi che toccano la vita quotidiana delle persone. Bene, nel momento in cui le varie manovre comportano ulteriori riduzioni della qualità della vita di ognuno, forse è venuto il momento di dare drastici segnali di un’inversione di rotta.
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