Come vive un normale cittadino italiano il modo in cui il governo in primis e, più generale, il ceto politico (opposizione compresa) affrontano questa crisi, la più grave – è stato detto – dal 1937, che ci spaventa e ci tiene con il fiato sospeso? Dalle lettura dei quotidiani, dall’ascolto di telegiornali e trasmissioni di informazione, la confusione appare regnare sovrana.
Da quando la Bce ha fatto prendere atto al nostro governo che la crisi c’è e rischia di portare l’Italia a fondo, si sono verificate una serie di prese di posizione incredibili: dilettantesche, contraddittorie, fumose. Tutte incentrate sulle tasse, proprio quelle che Berlusconi aveva detto, innumerevoli volte, che non avrebbe toccato ma, anzi, avrebbe ridotto. Si è parlato di tassare di tutto, in un turbinio di proposte e di smentite, all’interno della maggioranza e all’interno dei singoli partiti che la compongono, sempre più frammentati. Tassare: la casa, i beni di lusso, i redditi (90.000 euro…no, 100.000; forse 150.000…; forse niente), il patrimonio, i capitali scudati e adesso l’ultima trovata della Lega, la “tassa sull’evasione”. La confusione raggiunge qui il suo delirio contraddittorio: per tassare i capitali evasi bisogna infatti conoscere la base imponibile, ma se c’è stata evasione per definizione questa è sconosciuta; se, al contrario, le somme occultate sono note e dimostrabili, perché non le si è “tassate” prima ?
Questa ridda di voci non solo genera sconcerto e mostra l’estrema debolezza ed impreparazione della classe politica, ma amplifica enormemente la paura e l’angoscia per il futuro, in particolare per l’assoluta mancanza di sostanziali (non pubblicitarie) indicazioni sui risparmi da effettuare su quelli che, sinteticamente, si possono definire i costi della politica e sulle connesse (strettamente connesse) riforme per adeguare il nostro Stato alla efficienza media europea. Il rischio che alimenta la paura è, in sintesi, così riassumibile: “lacrime e sangue” che, non inserite in un progetto complessivo, non servono a nulla, se non, forse, a ritardare il peggio.
Come molte analisi hanno sottolineato e come la stessa Bce ha indicato, l’unico vero rimedio in grado di far uscire il Paese dalle secche in cui si trova è la messa in opera di quelle riforme modernizzanti che l’Italia attende da più di quindici anni. Da questo punto di vista, la crisi potrebbe perfino rappresentare un’occasione per sciogliere nodi e superare ostacoli più difficili in tempi normali. Le riforme necessarie sono stranote e mi limito a fare un elenco dei temi più importanti: la criminalità, la lentezza della giustizia civile, un federalismo che non sia solo capace di moltiplicare tasse, leggi, enti e prebende, pensioni di anzianità, riforma fiscale (con abbassamento delle aliquote), privatizzazioni, maggiore efficienza della Pubblica Amministrazione, riduzione degli enti di gestione e delle società partecipate, ma anche accorpamento dei servizi, riduzione e semplificazione della “macchina” politica, taglio dell’intreccio perverso tra politica e affari, in particolare del sistematico conflitto di interessi che riguarda davvero tutto il sistema economico/politico italiano, precariato dei giovani, istruzione e ricerca scientifica.
La crisi potrebbe essere il “grimaldello” di un governo con senso dello stato e consapevole di una realtà sociale e culturale che rischia la minorità nel confronto europeo, per sbloccare la società italiana. È un blocco che emargina le nuove generazioni, non prospettando alcun futuro, aumenta enormemente la forbice della diseguaglianza, sottovaluta e trascura sistematicamente il merito e il ruolo che l’istruzione e l’innovazione scientifica giocano nella società della conoscenza. Per un breve momento, l’energico richiamo alla coesione di Napolitano insieme alla incalzante spinta della Bce, sembravano avere avuto un effetto positivo, responsabilizzante e far sperare in una direzione che andasse verso la crescita e le riforme.
È bastata l’apparenza che la “nuttata” fosse passata, che è ricominciata la corsa rissosa da parte dei partiti e di suoi settori a spararle grosse per cercare di solleticare i rispettivi elettorati. Sono infatti spariti anche i pochi temi qualificanti – dai tagli ai costi della politica e alle province fino alle liberalizzazioni – e tutto ruota intorno a chi e cosa tassare. In questa corsa al massacro (dell’Italia) si cerca di “proteggere” quei ceti e settori che ogni partito ritiene, a torto o a ragione, suoi elettori. Ma il malumore serpeggia in ogni ambiente e settore sociale, non solo in quelli più deboli ed emarginati, ma anche in quelli che possono alzare la voce e la testa. La novità è che i partiti, ormai privi di ogni rapporto con la realtà, non sanno più bene neanche quali siano e che cosa vogliano i propri elettori.
Si vedrà se ci sarà una resipiscenza nei prossimi giorni. O se invece, a fronte di un ulteriore, drammatico peggioramento della nostra condizione, le forze politiche perderanno ogni residua credibilità verso l’esterno e la già scarsa fiducia degli italiani.
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