Il caso Glavaš e un passato che non passa. “Lui ha tradito i morti, sulla cui cenere abbiamo costruito la nostra patria, lui ha tradito i soldati e i generali dell'esercito croato”. “Lui” è Ivo Sanader, capo dell’HDZ e Primo ministro croato, dimessosi il 1° luglio scorso. Chi parla invece è Branimir Glavaš, parlamentare ed ex generale dell’esercito croato. L’uno rappresenta il presente della Croazia, il suo difficile, e per ora fallimentare, tentativo di avvicinarsi all’Europa; l’altro incarna il suo inquietante, e finora impunito, passato, legato alla guerra degli anni Novanta.
Il caso Glavaš è il ritorno di un rimosso. Tanto l’opinione pubblica nazionale (croata) quanto quella internazionale (occidentale) hanno insistito sul ruolo di vittima della Croazia di fronte all’aggressione serba. In particolare, la memoria del conflitto che ha portato all’indipendenza della Croazia si è basata sulla indiscussa legittimità della riconquista da parte dell’esercito di Tudjman dei territori che erano stati occupati dai serbi dal 1991 al 1995. Di conseguenza, è stata negata o rimossa tutta una serie di crimini che furono compiuti, all’inizio del conflitto, a danno della popolazione civile serba che abitava le città croate. In un vortice crescente di tensioni, civili serbi inermi furono minacciati, licenziati, prelevati di notte dalle loro abitazioni, sottoposti a intimidazioni, interrogatori, torture. Un numero ancora imprecisato di questi fu ucciso.
Fino al 1991, la Federazione jugoslava aveva garantito pari diritti a tutti popoli che la costituivano. Tuttavia, dopo la secessione della Croazia e la proclamazione del nuovo Stato nazionale, i serbi furono ridotti allo status di minoranza nazionale. Davanti alla prospettiva, sempre più concreta, di un conflitto aperto con l’esercito jugoslavo, i civili serbi nelle città croate furono considerati come una potenziale minaccia, che legittimò crescenti discriminazioni e violenze.
E’ in questo contesto, che rimanda in forme sinistre alle pratiche repressive dei regimi dittatoriali sudamericani, che si proietta il caso Glavaš. Nell’estate del 1991, questi era a capo di una delle prime formazioni paramilitari, che di lì a poco sarebbero confluite nell’esercito regolare croato, nella città di Osijek, vicina al confine con la Serbia. In quei mesi diventò il signore assoluto della città, imponendo un clima di terrore nei confronti della popolazione serba, attraverso una terribile sequenza di interrogatori, torture, sparizioni, omicidi. Non è qui possibile ripercorrere tutto l’iter giudiziario di una complessa vicenda che ha portato alla condanna di Glavaš a 10 anni di reclusione. Tuttavia, proprio quando la condanna doveva diventare esecutiva, Glavaš è fuggito in Bosnia, appellandosi ad una cittadinanza bosniaca concessa ad hoc, che sottrae l’ex-parlamentare croato all’estradizione richiesta da Zagabria.
Il processo a Glavaš era particolarmente importante perché sul banco degli imputati per crimini di guerra sedeva un parlamentare, che aveva costruito le proprie fortune politiche sul ruolo che aveva personalmente nel conflitto degli anni Novanta. L’esito fino a questo momento fallimentare del procedimento a suo carico testimonia la palese incapacità della Croazia di fare i conti con il proprio passato recente.
La notizia delle dimissioni del Premier Sanader, favorevole ad un avvicinamento all’Europa attraverso una critica dell’eredità nazionalista radicale di Tudjman, contribuisce a complicare tanto l’attuale quadro politico croato quanto il chiarimento delle responsabilità passate. Il cammino della Croazia verso l’Europa pare ancora lungo e tortuoso.
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