La Southern strategy del Partito repubblicano. Sono passati oltre quarant'anni da quando Richard Nixon e il Partito repubblicano cercarono di assicurarsi il voto dei razzisti bianchi del Sud con quella che fu definita Southern strategy, ma le cose non sembrano essere cambiate di molto. Certo, dai primi anni Ottanta i repubblicani hanno sostituito gli attacchi espliciti ai diritti civili e politici degli afroamericani con una strategia più ambigua, incentrata su conservatorismo fiscale, lotta alla criminalità e tagli alla spesa sociale. Ma i candidati e gli elettori conservatori condividono un codice di comunicazione, e sanno che dietro la volontà dichiarata di riformare il Welfare e ridurre la spesa pubblica si nasconde l’immagine del nero pigro, promiscuo e buono-a-nulla, che cerca ogni possibile alternativa a un’onesta occupazione. Un’immagine tanto più vivida se alla Casa Bianca siede il primo presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti. Sarà per questo che Newt Gingrich, durante la campagna per le primarie della South Carolina, ha definito Obama il migliore “food stamps president” (presidente dei buoni alimentari) nella storia del Paese; e in New Hampshire ha affermato che “se la Naacp (la più importante associazione per i diritti civili degli afroamericani, ndr) mi inviterà, andrò alla loro convention e spiegherò perché la comunità afroamericana dovrebbe rivendicare un salario e non essere soddisfatta dei buoni alimentari”. Effettivamente la popolazione coperta dai buoni alimentari, uno dei pochi provvedimenti di welfare sopravvissuti ai tagli draconiani degli anni Novanta, è cresciuta di 13 milioni dal gennaio 2009, fino a raggiungere i 46 milioni di beneficiari, grazie al pacchetto di stimolo varato dall’amministrazione Obama ad inizio mandato. Ma i repubblicani preferiscono far passare il messaggio che questo non dipenda dall’entità della crisi economica, ma dalla volontà del presidente nero di aiutare le pigre famiglie nere.
La Southern strategy repubblicana non agisce solo sul piano retorico. Dal 2010, quando l’onda conservatrice ha portato il Gop a conquistare il controllo di tutte le assemblee legislative statali del Sud, con l’eccezione dell’Arkansas e della sola Camera del Kentucky, in molti Stati (non solo del Sud) sono state approvate leggi che rendono più restrittive le norme di accesso al voto. Alcune leggi impongono di presentare al seggio elettorale un documento identificativo rilasciato dal governo (come il passaporto o la patente); sono i giovani, gli anziani, le minoranze etniche e i poveri i segmenti di popolazione che più frequentemente non dispongono di questi documenti. In altri casi è stato limitato il voto anticipato, specie nella domenica che precede l’Election day, quando le chiese afroamericane, al termine delle funzioni, raccolgono il voto delle congregazioni. Sono state anche scoraggiate le campagne per la registrazione, con la minaccia di multare le associazioni che si rendono responsabili di ritardi nella consegna della modulistica. Infine, sono stati privati del diritto di voto cittadini che hanno condanne penali alle spalle. Come ha recentemente illustrato un rapporto del Brennan center, che ha preso in esame 19 leggi e 2 regolamenti statali, le nuove restrizioni ricadranno pesantemente su giovani, persone a basso reddito, minoranze e persone con disabilità, fasce di elettorato che nel 2008 sono state determinanti per la vittoria di Obama. Nel complesso, secondo lo studio, le nuove disposizioni rappresenteranno un ostacolo all’esercizio del diritto di voto per più di 5 milioni di persone alle elezioni di novembre; inoltre, dei 12 Stati considerati in bilico, 5 hanno già riformato l’accesso al voto, e altri 2 si apprestano a farlo.
L’ultimo e forse più significativo elemento della Southern strategy repubblicana è la revisione dei collegi elettorali (redistricting) per l’elezione della Camera dei rappresentanti federale, che spetta alle assemblee legislative statali. Il processo è stato condotto in modo particolarmente aggressivo in North Carolina, Texas, Georgia, Louisiana e South Carolina, scatenando una miriade di ricorsi giudiziari da parte delle associazioni per i diritti civili e una dura presa di posizione del ministero della Giustizia, incaricato dal Voting rights act di approvare preventivamente ogni modifica delle leggi riguardanti il diritto di voto negli Stati della ex Confederazione. La strategia è semplice: concentrare l’elettorato afroamericano e ispanico, che vota in massa per il Partito democratico, nei collegi già rappresentati da democratici afroamericani o ispanici, e ridurre la presenza delle minoranze nei collegi rappresentati da democratici bianchi, indebolendone le prospettive di rielezione. Il sistema mira ad assottigliare la già debole rappresentanza democratica del Sud (16 deputati su 131) e ridurre le probabilità che i democratici riprendano il controllo della Camera alle elezioni di novembre (per farlo avrebbero bisogno di sottrarre ai repubblicani 25 seggi). Ma il redistricting ha anche un secondo effetto, non meno radicale: la segregazione dell’elettorato secondo linee razziali; per questo, “The Nation”, che alla nuova Southern stategy repubblicana ha dedicato la copertina del numero del 20 febbraio, ha parlato di “risegregazione attraverso il redistricting”.
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