Il viaggio senza fine della democrazia americana. Il discorso inaugurale di Obama sarà ricordato come uno degli interventi più audaci del presidente e sarà probabilmente in grado di definire la cornice ideale e le priorità del suo secondo mandato. Lo hanno colto i principali giornali americani: il “New York Times” ha sottolineato come il discorso abbia posto le basi per “un’agenda progressista che va incontro ai bisogni della nazione”, il “Washington Post” lo ha definito “una sorta di manifesto liberal”, mentre il “Wall Street Journal” lo ha descritto come “un intervento provocatorio”, “basato sui temi sociali fondamentali per i Democratici”.
In una cerimonia densa di riferimenti simbolici e dominata dalle figure di Abraham Lincoln e Martin Luther King, Obama è tornato allo stile retorico del 2007-2008. Ha richiamato i principi incarnati dai documenti fondativi – la Dichiarazione d’indipendenza e la Costituzione – e li ha presentati come momento iniziale di un “viaggio senza fine, per conciliare il significato di quelle parole con le realtà del nostro tempo”. Infatti, se la storia insegna che la vita, la libertà e il perseguimento della felicità sono diritti inalienabili, afferma anche che essi “non sono mai stati scontati”, che “se la libertà è un dono di Dio, deve essere garantita dal suo popolo qui sulla Terra”. I valori dei fondatori devono essere attualizzati, dato che, “quando i tempi cambiano, anche noi dobbiamo cambiare con essi”: Obama li ha declinati nel presente, spiegando che “il compito della nostra generazione è fare in modo che quelle parole, quei diritti, quei valori […] siano reali per ogni americano”.
Il presidente ha scelto così di concentrarsi su cinque grandi questioni, che occupano la parte centrale e più importante del discorso: opportunità, dignità e sicurezza sociale, ambiente, pace, uguaglianza. Ciascun blocco tematico è introdotto dalle parole “we, the people” (“noi, il popolo”), che aprono il Preambolo della Costituzione.
Obama si è soffermato maggiormente sull’uguaglianza, definendola “la più evidente delle verità” proclamate dai fondatori. Non poteva essere diversamente, nel centocinquantesimo anniversario del Proclama di emancipazione, col quale Lincoln cancellò la schiavitù, e nel cinquantenario della Marcia di Washington, passata alla storia soprattutto per il discorso “I have a dream” di King. La convinzione che tutte le persone siano uguali, ha spiegato Obama, rappresenta “la stella che ci guida ancora, proprio come ha guidato i nostri antenati a Seneca Falls, a Selma e a Stonewall”. Obama ha così accostato tre momenti fondamentali della storia dei movimenti sociali americani, che ha scelto come simbolo della lotta per l’uguaglianza: il congresso di Seneca Falls per i diritti delle donne (1848), la marcia di Selma, Alabama, per i diritti degli afroamericani (1965), i moti di Stonewall, New York (1969), dai quali è nato il moderno movimento per i diritti LGBT, celebrati ogni anno con i Pride.
L’uguaglianza, per essere riempita di significato, richiede “un’azione collettiva”, poiché “non crediamo che in questo Paese la libertà sia riservata ai fortunati, né che la felicità sia un privilegio di pochi”. Il governo (che – ha affermato Obama citando Lincoln – deve essere “del popolo, dal popolo e per il popolo”) ha pertanto il compito di connettere l’uguaglianza con la dignità e la sicurezza sociale. La rete di protezione sociale e l’assistenza sanitaria spettano a ogni cittadino e – ha precisato il presidente in aperta polemica con le dichiarazioni di Romney e Ryan in campagna elettorale – “non ci trasformano in una nazione di profittatori”, ma “ci rendono liberi di assumerci i rischi che fanno grande questo Paese”. “Ci ricordiamo infatti le lezioni del nostro passato”, ha continuato, “quando gli ultimi anni della vita venivano trascorsi nella povertà e i genitori di un bambino con disabilità non sapevano a chi rivolgersi”.
Nel discorso ha trovato spazio anche “la minaccia del cambiamento climatico”: Obama ha ribadito l’urgenza che gli Stati Uniti assumano la guida della transizione verso un’economia sostenibile, elemento che lascia credere che la questione sarà inserita nell’agenda della nuova amministrazione. Grande rilevanza, infine, ha assunto il tema della pace: il presidente ha difeso la soluzione pacifica delle controversie internazionali, “non perché siamo ingenui rispetto ai pericoli che abbiamo davanti, ma perché l’impegno può cancellare il sospetto e la paura in modo più duraturo” e perché “nessuno più della nazione più potente della Terra ha interesse a vivere in un mondo pacifico”.
Alla vigilia dell’insediamento, “The Nation” aveva chiesto a Obama di sfruttare l’opportunità del discorso inaugurale per “creare le condizioni favorevoli […] per una solida agenda legislativa capace di portare non solo la speranza, ma anche il cambiamento promesso”. Le aspettative del magazine progressista non sono state deluse.
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