Se il Tea Party tradisce i Padri fondatori. Il movimento del Tea Party nasce nel gennaio 2009 come istintiva reazione all’elezione di Obama, più che alla crisi finanziaria e fiscale degli Stati Uniti. In quel momento le politiche di salvataggio delle banche coinvolte nella crisi finanziaria di fine 2008 erano ancora sotto il nome dell’amministrazione Bush, ma pochi giorni dopo il giuramento di Obama insorse una galassia di libertari, anarchici, interpreti della Costituzione in senso “originalista”, sostenitori dell’incostituzionalità delle tasse federali, e di molti elettori ed eletti del Partito Repubblicano - al grido di “no taxation without representation” e sotto le insegne (e talvolta negli abiti d’epoca) del “Boston Tea Party” del 1773 che diede avvio alla Rivoluzione americana. I membri del Tea Party, nonostante un’eterogeneità ideologica tipica dei “partiti terzi” nei sistemi bipartitici, sono uniti da una comune identità etnica bianca e da una matrice culturale che affonda le sue radici nell’individualismo radicale e nella diffidenza tipica dell’antropologia politica americana verso “il governo” assunto come entità metafisica essenzialmente nemica delle libertà individuali. Il Tea Party di oggi ha molti elementi in comune con movimenti politici nati e morti tra metà Ottocento e fine Novecento: la piattaforma nativista e anti-immigrazione (e anti-cattolica) del “Know Nothing Party” degli anni 1840-1850; l’estremismo anticomunista dei primi anni 1960 della “John Birch Society”; il libertarismo di destra di Barry Goldwater di fine anni Sessanta; il segregazionismo razzista del governatore dell’Alabama e candidato alla presidenza nel 1972 George Wallace; il plebiscitarismo e rigorismo fiscale di Ross Perot, candidato alla presidenza come “third party candidate” nel 1992.
Come molti dei movimenti populisti che lo hanno preceduto, il Tea Party attuale non si presenta come un “terzo partito” in un sistema bipartitico come quello americano, ma si limita ad influenzare le candidature e le posizioni del Partito Repubblicano - e con notevole successo, come si è visto dalle elezioni di medio termine del novembre 2010. Ciò che distingue il Tea Party di Sarah Palin dai suoi predecessori è la possibilità di identificare il governo come nemico con un presidente, Barack Obama, la cui origine, identità etnica, percorso intellettuale e passione civile sono l’epitome di tutto quello che suscita le ansie del nativismo americano: un presidente non bianco, di padre musulmano e madre laicista e universalista, cresciuto in un paese asiatico a maggioranza musulmana (Indonesia), formatosi nelle università di elite del paese (Columbia, Harvard), dedicatosi come “community organizer” ad educare i neri ghettizzati nella città ancora più segregata d’America dal punto di vista razziale, Chicago, a prendere coscienza dei propri diritti. Il fatto che Obama sia il primo presidente di colore aggiunge materia ad una cultura politica cospirazionista ed estremista tipica del movimento. La “John Birch Society” aveva spaventato persino William F. Buckley Jr., direttore della National Review e padre putativo dei neo-conservatori, il quale nel 1961 aveva visto in quel progetto l’embrione di un fascismo americano.
Dal punto di vista della cultura religiosa, la retorica del Tea Party è indifferente ai richiami ideologici legati alla religione rivelata, ma è devoto della religione civile dell’eccezionalismo americano e delle sue radici “ebraico-cristiane”, in ostilità all’evoluzione multiculturale e multireligiosa del paese: il presidente Obama è il primo nella lista di quanti non sono legittimi interpreti di questa nazione intesa come progetto politico-religioso in cui l’idea di libertà individuale è assurta ormai a concetto teologico. Dal punto di vista storico-costituzionale, il progetto “storiografico” dei leader del Tea Party si riassume in una rilettura radicale della Costituzione americana che tende a vedere negli sviluppi successivi alle origini degli Stati Uniti (gli emendamenti alla Costituzione, lo sviluppo dei poteri a livello federale, una politica estera non isolazionista) una perversione degli ideali originari. Il problema è che per George Washington e Benjamin Franklin il “Tea Party” di Boston era una pessima idea, anche due secoli fa. Franklin, che vedeva nella sollevazione del 1773 un evento istigato dai mercanti della costa est, evasori fiscali interessati a continuare a non pagare le tasse sui loro commerci, definì il Boston Tea Party “un atto di violenta ingiustizia”. Nonostante la proclamata fedeltà alle origini della Rivoluzione americana, inesistenti sono le affinità del Tea Party con i “Padri fondatori” e con la loro cultura illuminista. L’identità ideologica dell’odierno Tea Party è una miscela tra il nativismo xenofobo ottocentesco, le ossessioni della guerra fredda, le ansie legate al declino economico americano, e la retorica dello “scontro di civiltà” post-11 settembre.
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