La Convenzione di Istanbul definisce violenza domestica “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare”. Un fenomeno multidimensionale, quindi, in cui però la condizione economica, oltre a essere uno degli ambiti in cui si esplica l’abuso, può diventare la chiave di volta di un percorso di emancipazione. I dati Istat sulle donne seguite dai Centri Antiviolenza (2020) mostrano chiaramente che la dipendenza economica è strettamente legata a un maggiore rischio di subire diversi tipi di violenza e a periodi più lunghi di maltrattamenti. Senza indipendenza economica, molte donne non riescono a lasciare il partner violento, trovandosi bloccate dalla mancanza di risorse.

Molto importante in questo senso è il “Reddito di libertà” (qui Rdl o semplicemente Reddito), istituito nel 2020 e destinato alle donne vittime di violenza allo scopo di favorire percorsi di autonomia ed emancipazione, a partire proprio dall’indipendenza economica. Il supporto economico è pari a 400 euro mensili per un periodo massimo di 12 mesi. Le risorse inizialmente stanziate erano pari a 3 milioni di euro, integrate da un ulteriore finanziamento di 9 milioni di euro con successivo Dpcm del 1° giugno 2022. Con la legge di bilancio 2024 la misura è resa strutturale e finanziata con 10 milioni di euro annui per il triennio 2024-2026, che scenderanno a 6 milioni di euro all’anno a partire dal 2027. Eventuali domande non accolte per insufficienza di budget possono essere finanziate con risorse aggiuntive degli enti locali.

Pur rivolgendosi a un segmento presumibilmente limitato delle donne vittime di violenza (si tratta infatti esclusivamente di donne già assistite da un Centro Antiviolenza e quindi di abusi già “emersi” e denunciati), l’analisi del profilo delle donne richiedenti fornisce informazioni interessanti sul fenomeno della violenza di genere. Utilizzando i dati Inps abbiamo provato a fornire un ritratto delle donne che hanno fatto richiesta di questa forma di aiuto. Nella lettura dei dati di seguito presentati si ipotizza che non ci siano differenze nella propensione a denunciare gli atti di violenza domestica tra i gruppi oggetto di comparazione, e quindi che la maggior presenza di denunce rifletta una maggior diffusione di episodi di violenza subìta.

Il “Reddito di libertà” (Rdl), istituito nel 2020, è destinato alle donne vittime di violenza allo scopo di favorire percorsi di autonomia ed emancipazione, a partire proprio dall’indipendenza economica

Una percentuale significativa delle richiedenti il Reddito (42%) è costituita da donne nate all'estero. Questo dato evidenzia una vulnerabilità particolarmente acuta tra le donne migranti, che spesso si trovano ad affrontare una serie di difficoltà aggiuntive rispetto alle loro controparti italiane. Le donne straniere, infatti, possono trovarsi isolate dal punto di vista sociale, economico e legale. La mancanza di una rete familiare o sociale di supporto, una scarsa conoscenza della lingua italiana e dei diritti, così come una possibile dipendenza dal partner per la loro regolarità sul territorio (ad esempio, in caso di permesso di soggiorno legato alla famiglia), rendono queste donne più esposte al rischio di violenza e meno capaci di sottrarsi a situazioni di abuso. L'alta incidenza di richieste provenienti da donne straniere potrebbe anche riflettere la loro maggiore precarietà lavorativa, essendo spesso non-occupate o occupate nel sommerso.

Un altro dato interessante riguarda la distribuzione geografica delle richieste, con il 46% proveniente dal Sud Italia. Ciò, dato i bassi tassi di occupazione femminile che caratterizzano quest’area del Paese, potrebbe riflettere le maggiori difficoltà economiche delle donne meridionali, oppure essere legato a norme di genere più tradizionali che potrebbero favorire la violenza di genere.

Per quanto riguarda l’età delle richiedenti, il 61% rientra nell’intervallo di età compreso tra i 35 e i 54 anni. Più precisamente, circa il 36% delle richiedenti ha un’età compresa tra i 35 e i 44 anni, circa il 26% ha tra i 45 e i 54 anni, mentre il 22% ha tra i 25 e i 34 anni. I rimanenti 10% e 5% rappresentano, rispettivamente, coloro che hanno più di 55 anni e meno di 25 anni. Tuttavia, l’età delle richiedenti è piuttosto varia, con un minimo di 18 anni e un massimo di 82, evidenziando come tale fenomeno possa colpire le donne in diverse fasi della loro vita.

Una quota consistente delle richiedenti il Reddito non è occupata; tra le occupate, è diffusa una condizione di fragilità: lavora part-time il 66% delle richiedenti e a tempo determinato il 52%

Per indagarne le condizioni occupazionali, abbiamo incrociato i dati delle donne che hanno fatto richiesta di Rdl con i dati sui rapporti di lavoro disponibili negli archivi Inps: per il 2023 circa il 47% delle richiedenti risultava aver lavorato almeno una mensilità nel settore privato extra-agricolo, mentre è molto più contenuta la presenza negli altri comparti: il 4% delle richiedenti è stata attiva nel settore del lavoro domestico, circa il 2% nel settore pubblico e una parte residuale nel settore agricolo (per questi comparti il dato è riferito al 2021). Emerge con chiarezza che una quota consistente delle richiedenti il Reddito non è rintracciabile negli archivi Inps e si trova quindi, presumibilmente, nello stato di disoccupazione o fuori dalle forze di lavoro.

È interessante notare, però, che anche le richiedenti che risultano occupate nel settore privato extra-agricolo scontano una condizione di fragilità: spesso lavorano part-time (66% delle richiedenti) e a tempo determinato (il 52%). In media nel 2023 le richiedenti occupate in questo settore hanno lavorato 28 settimane e ottenuto una retribuzione media annua di circa 8.058 euro (contro una media per le donne occupate nel settore di circa 18 mila euro.)

Dai dati in analisi risulta, inoltre, che il 69% delle richiedenti ha figli; ciò ci consente di effettuare un confronto tra la posizione economica della donna rispetto all’altro genitore. Mentre il 51% delle madri richiedenti è occupata nel settore privato extra-agricolo, con una retribuzione media annua di circa 8.300 euro, le informazioni disponibili sui loro partner (l’altro genitore) evidenziano come nel 2023 circa il 63% di essi risultava occupato nel settore privato extra-agricolo, ottenendo una retribuzione media annua pari a circa 18 mila euro. Tale valore è inferiore alla retribuzione media ottenuta dai lavoratori di sesso maschile nel settore (pari a circa 25 mila euro), ma con un gap inferiore rispetto a quello registrato per le donne. L’85% di questi lavoratori ha un contratto di lavoro a tempo pieno e solo il 28% è inquadrato a tempo determinato: posizioni più solide, quindi, rispetto a quelle rilevate per le madri, con un squilibrio che si palesa anche quando restringiamo l’attenzione ai nuclei familiari in cui sia la percettrice del RdL che l’altro genitore risultino occupati nel settore privato extra-agricolo; in questo caso, infatti, il reddito del genitore di sesso maschile è pari a 2,04 volte quello della controparte femminile.

Da questi dati si intravedono le caratteristiche del sistema economico italiano, a cui le donne partecipano poco e da posizioni instabili e di marginalità; la riflessione politica su tali elementi, già di per sé problematici, dovrebbe sempre tenere conto di quanto queste condizioni possano tramutarsi in una vera e propria gabbia per le donne che si trovino in contesti familiari maltrattanti.

 

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