Anche in Italia si discute dell’opportunità di vietare il burqa alle donne musulmane che vivono sul nostro territorio (si veda, ad esempio, la recente mozione approvata dal consiglio comunale di Sesto San Giovanni, NdR). A tale proposito, in Parlamento è stata avviata la trattazione di diversi disegni di legge. Per l’occasione il governo ha dato un parere favorevole cercando però di “non farne una questione di religione”. Basta non parlare di islam ma di sicurezza e il problema è risolto e diventa legittimo dare il via al divieto. Del resto, non lo si sta già facendo in altri Paesi europei, come Belgio, Olanda, Francia, dove il burqa è stato dichiarato “contrario ai valori della Repubblica”? Già, ma basta questo per considerare il divieto una misura giusta? Per quanto mi riguarda, sono convinta che sia doppiamente sbagliato. Cercherò di dimostrarlo portando controargomenti alle motivazioni più diffuse, non senza aver però premesso che sono profondamente convinta del fatto che indossare il burqa costituisca la negazione dell’identità di una donna, una forma di segregazione, di feudalesimo nei rapporti sociali e fra i generi.
La libertà nel vestire fa parte del processo di emancipazione e liberazione femminile. Non credo neanche che si possa sostenere che alcune donne “scelgano” di indossarlo. Forse, sarebbe meno improprio affermare che alcune, quelle più consapevoli, sono costrette a sceglierlo, condizionate dall’ambiente circostante. Vi sono tuttavia testimonianze dirette di casi nei quali le donne decidono di indossarlo per una forma di riservatezza, per motivi religiosi o di opportunità.
La maggior parte di coloro che sostengono il divieto di indossare il burqa adduce ragioni di sicurezza, legate all’impossibilità di identificare le persone nei luoghi pubblici. Ma già dal 1975 è in vigore una legge che prescrive di essere identificabili e vieta “qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona senza giustificato motivo”; basta lasciarsi identificare nel momento in cui un pubblico ufficiale lo richiede.
Ma evidentemente non è questa la ragione vera che porta a legiferare con tanta urgenza su una materia che riguarda pochissime persone e che non costituisce certamente una priorità del Parlamento. La ragione più profonda riguarda la difficoltà a elaborare nel mondo occidentale una convivenza con una cultura che presenta abitudini così diverse. Al fondo c’è la paura, non c’entrano i diritti delle donne. Non è un caso che i paladini più accesi del divieto del burqa, con proposte di sanzioni che arrivano fino all’arresto, sia in Italia sia in altri Paesi europei, siano esponenti della destra, e talvolta, come in Olanda, della destra xenofoba che mira non solo a proibire il burqa, ma anche a impedire la costruzione di moschee, la vendita di cibi etnici ecc. Non è dunque casuale neppure che siano stati sindaci leghisti dei comuni del Nord i primi a emanare atti di divieto con multe, in qualche caso comminate col risultato di relegare definitivamente in casa la donna vittima. Il divieto finisce per diventare così semplicemente un gesto di esclusione, un doppio atto di violenza nei confronti della donna: da parte di chi in famiglia la “obbliga” a indossare il burqa, anche solo attraverso il richiamo a una consuetudine, e da parte di un apparato burocratico amministrativo che con quell’abitudine entra in contrasto, nonostante che non vi sia offesa o danno ad alcuno. È possibile dunque rovesciare il discorso e parlare invece di una vera e propria violazione dei diritti umani che può essere ravvisata nel divieto per legge.
In conclusione, se vogliamo davvero mettere al centro i diritti delle donne, dobbiamo lavorare molto di più e in maniera più convinta su un’integrazione rispettosa del pluralismo culturale, sull’integrazione delle bambine e delle famiglie immigrate, senza pregiudizi. La sintesi si può trovare nella Risoluzione del Consiglio d'Europa, laddove si sostiene che “nessun Paese dovrebbe adottare leggi che introducano il generalizzato divieto di indossare il burqa e il niqab [...] Indossare tali abiti potrebbe essere un pericolo per la dignità e la libertà delle donne, ma è vero anche che un bando totale potrebbe escludere queste donne dalla partecipazione alla vita sociale e lavorativa”. Questo è l’asse culturale lungo il quale tutta l’Europa civile e democratica dovrebbe muoversi. Ma purtroppo, è un’altra la via che sembra essere stata intrapresa.
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