Elezioni europee: Austria. I risultati delle elezioni europee confermano alcune tendenze di fondo della politica austriaca affermatesi negli ultimi anni, ma presentano anche elementi di novità sottovalutati nelle analisi della vigilia.


Per quanto riguarda il primo aspetto, le elezioni mettono in luce la crisi del Partito socialdemocratico (Spö) e la sostanziale tenuta del Partito popolare (Övp), nel quadro di una generale erosione di consensi alla Grosse Koalition al governo. I popolari, pur risultando il primo partito con il 29,7%, perdono il 3% rispetto alle Europee del 2004, ma guadagnano quasi cinque punti rispetto alle politiche del settembre 2008, quando ottennero il 24,9%, il peggiore risultato della loro storia. I socialdemocratici del cancelliere Werner Faymann, invece, si assestano al 23,8%, con ben 9,5 punti percentuali in meno rispetto alle Europee del 2004 e ben al di sotto anche del 29,2% delle politiche dell’anno scorso, quando ottennero la maggioranza relativa. Per i popolari si può quindi parlare di perdita contenuta, per i socialdemocratici di una vera e propria débâcle. Risulta altresì confermato il rafforzamento dell’estrema destra populista e xenofoba, sebbene non nei termini prefigurati dai sondaggi: il Partito della libertà (Fpö) di Heinz-Christian Strache totalizza il 13,1%, con un incremento del 6,8% rispetto alle Europee del 2004, ma in flessione rispetto al 18,3% delle politiche; l’Alleanza per il futuro dell’Austria (Bzö) di Ewald Stadler raggiunge il 4,7%. Questo partito non era presente nelle precedenti Europee, mentre nelle politiche dell’anno scorso aveva ottenuto l’11,5% dei voti.
Il vero elemento di novità è rappresentato dall’affermazione (17,9%) della lista di Hans-Peter Martin, che diventa il terzo partito, guadagnando il 3,9% rispetto alle Europee del 2004, mentre non aveva ottenuto seggi nelle precedenti politiche. I Verdi scendono al 9,5% perdendo il 3,4% rispetto al 2004.
Il risultato negativo dei socialdemocratici, il sesto consecutivo per Faymann, pur essendo in parte spiegabile nell’ottica della flessione generale dei socialisti a livello europeo e della perdita di consensi dei partiti di governo nella crisi globale, è largamente riconducibile agli errori della campagna elettorale. Una campagna scialba condotta all’insegna dell’improvvida accondiscendenza nei confronti della marea montante della demagogia populista. Atteggiamento inaugurato con la lettera scritta l’anno scorso da Faymann a Hans Dichand, editore della Kronen Zeitung (giornale capofila dell’euroscetticismo), nella quale si annunciava la “svolta” euroscettica della Spö, e terminata con il maldestro tentativo di mettere la sordina ai temi specificamente europei sui quali, pur tra molti tentennamenti e alcune vistose retromarce, il capolista Hannes Swoboda aveva invano cercato di richiamare l’attenzione. Ora incombono le prossime elezioni regionali nell’Oberösterreich e a Vienna, che saranno test decisivi per la tenuta del partito e per la stessa sopravvivenza di Faymann alla sua guida.
Il non deludente risultato del Partito popolare è invece spiegabile da un lato con il fatto di essere rimasto, insieme con i Verdi, l’unico partito non dichiaratamente euroscettico e di essere quindi riuscito a catalizzare il voto filoeuropeo trasversale rispetto alla tradizionale distinzione destra/sinistra e dall’altro all’ambiguità, o alla doppia strategia, della sua campagna elettorale, che si è tradotta in un gioco di sponda tra il capolista Ernst Strasser e Othmar Karas, convinto europeista collocato al secondo posto in lista. Mentre il primo ha strizzato l’occhio all’elettorato di destra con dichiarazioni euroscettiche, il secondo ha corretto il tiro tenendo dritta la barra dell’europeismo e riuscendo così ad accreditare il partito come alternativa moderata al voto di protesta antieuropeo.
Il dato politicamente più significativo di queste elezioni è però il mancato sfondamento della Fpö, dominatrice assoluta della campagna elettorale (alcuni sondaggi la davano al 30%), di cui ha soprattutto beneficiato la Lista Martin. Giornalista e saggista, Hans-Peter Martin si è accreditato come volto presentabile di un euroscetticismo non ideologico, riuscendo ad attrarre il voto di protesta non estremista di quegli elettori che, sia pure animati da profonda ostilità nei confronti dell’Ue, dei suoi sprechi e della sua scarsa trasparenza democratica, non erano disposti a sostenere le tesi xenofobe dell’estrema destra né a identificarsi in una campagna elettorale – quella della Fpö – dominata dalle crociate contro l’Islam e da un’ossessiva predicazione contro l’ingresso della Turchia e di Israele nell’Ue.
Una parte non irrilevante nella battuta d’arresto dell’estrema destra ha giocato la presa di posizione di alcuni esponenti della gerarchia cattolica austriaca contro l’uso strumentale a fini propagandistici dei simboli religiosi, a cominciare dalla croce, da parte della Fpö. Ma la parte del leone l’ha fatta anche in questo caso la Kronen Zeitung, che si è schierata con Martin – così come nelle elezioni politiche del 2008 aveva sostenuto Faymann – contribuendo a trasformare la sua lista in una forza politica in grado di competere numericamente con il fronte della Fpö e della Bzö. Molti ritengono tuttavia che si tratti di un capitale politicamente non spendibile, destinato a esaurirsi molto presto, quando alla protesta e alla denuncia dovrà necessariamente seguire la proposta, al momento assai vaga e probabilmente non in grado di mobilitare l’elettorato con altrettanta efficacia persuasiva.
Resta il fatto che in un Paese che per lunghi anni ha coltivato il sogno di un’isola ricca e felice al riparo dalle temperie della storia, e che ora si trova drammaticamente esposto alla crisi economica e all’insicurezza generata da una disoccupazione sino a ieri sconosciuta, più di un terzo degli elettori ha votato per partiti o candidati euroscettici. E tuttavia le rilevazioni di Eurobarometro indicano che il sentimento filoeuropeo, alimentato dalla convinzione che l’Ue sia l’unica ancora di salvezza nella tempesta della crisi globale, è in crescita tra la popolazione; esso ha impedito che in queste elezioni il tradizionale euroscetticismo austriaco assumesse le sembianze prevalenti della xenofobia e del razzismo. Vedremo già nelle prossime elezioni regionali se si tratta di una duratura inversione di tendenza, o almeno di una complicazione del quadro politico, o se invece si tratta soltanto di un’occasionale conversione tattica a forme meno radicali di antieuropeismo, destinata a essere abbandonata con l’uscita dalla crisi.