Agli inizi del Novecento il senso dell’ignoto era ancora parte integrante del viaggiare. La mente dell’esploratore non poteva che supporre le insidie o le meraviglie che lo attendevano. Anche la gente comune doveva far fronte a questa carenza informativa. L’alone di mistero per tutto ciò che era altro dal proprio Paese veniva investito da un’aura magica, le poche informazioni scientifiche che giungevano sugli usi e sui costumi di popoli lontani ancora si condivano di leggende. Un conto era vedere e annusare l’oceano, ammirare una tigre del Bengala, sentire parlare un dialetto cinese; ben altra faccenda era leggerne sui libri, immaginare dai racconti dei pochi privilegiati che ci erano stati.
L’immaginazione di Emilio Salgari si fece avanti a colpi di parang nei meandri della Giungla Nera, ma era sola, dal momento che egli non poté mai spingersi oltre l’Adriatico. Così, un ragazzo cresciuto negli anni Cinquanta finiva per dare forma alla fauna e alla flora di Paesi lontani aggiungendo alla fantasia dello scrittore (e dell’eventuale illustratore) il proprio gusto personale. Non esisteva l’India, esistevano infinite Indie; una per ogni lettore.
Solo con le comunicazioni di massa verrà a erodersi questo serbatoio di immaginazione, mistero e ignoto che per tutta la storia aveva accompagnato il viaggio.
Con la diffusione di fotografia, radio e televisione l’orizzonte geografico si restringe. Si palesano genti vestite in maniere inconcepibili, all’improvviso le nostre montagne appaiono non più così alte, idiomi incomprensibili giungono alle nostre orecchie. Gli strumenti del viaggio si fanno più certi e razionali e, cosa che più conta, alla portata di un sempre maggior numero di persone.
La rivoluzione informatica e la rete fanno il resto. Chiunque abbia a disposizione una connessione può verificare se l’idea che si è fatto attraverso le pagine di un libro, ad esempio, di un certo quartiere di New Orleans corrisponda a realtà: basta accedere allo Street View. Questa funzione di Google Maps permette infatti di passeggiare (con una vista panoramica a 360 gradi in orizzontale e a 290 in verticale) per le strade di moltissime città d’Europa, Nord America, parte del Sud America, Australia, Sud Africa e Giappone.
Dal 2007 (in Italia dall’ottobre 2008) le città mappate aumentano esponenzialmente. Grazie a Google Earth (esiste anche una versione open source sviluppata dalla Nasa, World Wind) è poi possibile sorvolare l’intero globo – per tutti gli astronomi e gli astronauti mancati è possibile ammirare il cielo che sovrasta una determinata località con tanto di stelle, galassie e costellazioni oppure planare sulla crosta di Marte e Luna – attraverso immagini satellitari che nelle maggiori città hanno una risoluzione spaziale inferiore al metro quadrato.
Se soffrite di agorafobia niente panico: dal 17 febbraio di quest’anno è possibile ammirare le opere d’arte più famose al mondo comodamente seduti in poltrona; Google Art Project, questo il nome dell’applicazione, applica lo Street View ai corridoi dei diciassette musei più prestigiosi del globo, ma con una risoluzione visiva decisamente superiore – per alcune opere, la qualità di ripresa è talmente alta da evidenziare particolari altrimenti non percepibili dall’occhio umano.
Partire e perdersi sembra essere diventata ormai solo una scelta; l’ignoto non è più parte costitutiva del viaggiare. L’amico che esordisce con: "Allora è confermato, ci vediamo mercoledì prossimo; arrivare non è semplice, devi prendere la provinciale e…" viene ormai interrotto da un: "Non ti preoccupare, tanto guardo Google Maps"; l’esegesi delle indicazioni stradali è eliminata a monte, e con essa la ricerca di cartine dettagliate – basta una connessione internet e qualche click e la strada è fatta. L’itinerario non ha più segreti: trattorie, pause tecniche, viste panoramiche sono punti virtuali prima di essere luoghi spaziali; sono certezze, non sono epifanie che si nascondono dietro il velo della prossima curva. Se poi non vi fidate della vostra memoria, se siete troppo pigri per prendere appunti dallo schermo o avete finito il toner della stampante, i sistemi di navigazione Gps saranno il vostro copilota; ogni svolta vi sarà preannunciata da una voce digitalmente rassicurante. Anche chi non ha la più pallida idea di come leggere una cartina, chi durante i campi estivi all’esercitazioni di orienteering finiva per essere ripescato dalla squadra di soccorso sul calar della sera, può gettarsi sulla strada con la certezza dell’arrivo e del ritorno negli orari concordati: Go confidently, viaggia con fiducia!
Solo le code, i ritardi e gli scioperi rimangono le variabili impazzite del viaggio; il resto sono costanti che spaccano il minuto. Un messaggio come quello riportato in un telegramma di metà Ottocento inviato dalla costa Ovest a un allevatore della valle del Missouri ("Credo di arrivare a primavera inoltrata") è oggi inconcepibile. Certo, questa certezza della data d’arrivo dipende anche da tutta un’altra serie di fattori, in primo luogo dallo sviluppo delle vie di comunicazione e dei mezzi di locomozione. Ma pur avendo a disposizione il mezzo più veloce e infinite strade per arrivare, devi sapere come e dove arrivare. Come riporta il “New Scientist”, per la rivoluzione del viaggiare è fondamentale non solo la possibilità di raggiungere il 90% delle aree del mondo via terra in meno di 48 ore (oggi solo uno sconsiderato scommetterebbe con Phileas Fogg), ma anche il sapere preventivamente che cosa ci si deve aspettare e come si può raggiungere la meta.
È ancora possibile sentirsi in balìa di forze smisurate e capricciose come Ulisse, arrivare in India, come Alessandro Magno, senza saperlo, prendere felici cantonate come Colombo? È ancora possibile lanciarsi con la fantasia nei meandri dei misteri della Giungla Nera? Certo, basta spegnere i monitor. Olfatto, tatto e gusto non possiamo informarli nemmeno sul migliore dei portali, né del resto la risoluzione grafica migliore né la scheda audio più evoluta può restituirci l’emozione di un panorama o di un silenzio. Perdersi è ancora possibile, ma è ormai una scelta basata sulla disponibilità di ognuno di sopportare l’ignoto. Di partire con quel minimo di incoscienza, senza rete.
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