L’elezione di Damiano Tommasi a sindaco di Verona è stata accolta con sorpresa dai leader politici e dai commentatori dei giornali. Pochi se l’aspettavano, anche tra gli analisti: persino l’Istituto Cattaneo non aveva inserito Verona nel panel delle città di cui analizzare i flussi, forse dando per scontata una continuità nei comportamenti di voto. Le letture più diffuse sono state, da parte sia dei leader politici sia dei commentatori, da un lato la conferma dell’efficacia della strategia del «campo largo» di Enrico Letta; dall’altro l’accusa a Federico Sboarina, sindaco uscente e candidato di Fdi e Lega, di non aver accettato l’apparentamento con Flavio Tosi, che al primo turno aveva ottenuto 25.853 voti e si presentava con un insieme di liste, tra le quali Forza Italia. Si dice sempre che il voto in Italia (e non solo) sia molto mobile, ma quando si manifestano gli effetti di tale mobilità ci si sorprende. E allora si cercano le cause, magari nei cambiamenti nella situazione socio-economica della città e nel clima culturale.
Il risultato elettorale è forse leggibile in modo un po’ diverso, innanzitutto ricordando due assiomi che gli analisti dei dati elettorali ci ricordano sempre. Il primo potrebbe essere grezzamente enunciato così: «Fa' in modo di tenerti i tuoi voti». Tommasi ha avuto 50.118 voti al ballottaggio e 43.118 al primo turno. Nel 2017 Orietta Salemi (candidata del Pd e di altre liste collegate) ottenne 25.724 voti e Michele Bertucco (Sinistra in comune) 5.288. Nelle elezioni precedenti al 2022 i candidati che facevano riferimento a un’area politico-culturale di centrosinistra hanno sempre ottenuto tra i 30 mila e i 50 mila voti (nel 2007 Paolo Zanotto, sindaco uscente di centrosinistra, aveva perso al primo turno con 50 mila voti, mentre Flavio Tosi aveva vinto con oltre 90 mila).
In altre parole, un’area di consenso di centrosinistra, minoritaria, a Verona (città di destra) è sempre esistita, ma spesso ha optato per il non voto e Tommasi infatti in campagna elettorale ha sempre dichiarato che il suo unico nemico era l'astensionismo. Ma probabilmente grazie in particolare all’entusiasmo dei giovani attivisti, il neosindaco è riuscito a mobilitare proprio quelle sacche di astensionismo di centrosinistra, al contrario di quanto era avvenuto in tornate elettorali precedenti: nel 2017 erano tornati a votare al secondo turno 80.000 veronesi, nel 2022 95.000 (quando pensi che il tuo voto possa contare, torni dalla montagna o dal lago un’ora prima per poter votare).
Da questo punto di vista, il centrodestra non può guardare ai risultati come a una spiacevole parentesi, frutto di un incidente di percorso, essendo passato dai 90 mila voti che gli hanno assicurato la vittoria del 2007, ai 43 mila del 2022 (conteggiando anche Tosi, al primo turno si arriva a 60 mila): è un trend di declino avvenuto in un quindicennio di governo della città e meriterebbe forse una riflessione, senza limitarsi a invocare le tendenze generali alla crescita dell’astensione.
Il centrodestra non può considerare i risultati come una spiacevole parentesi: si tratta infatti di un trend di declino avvenuto in un quindicennio di governo della città
Il secondo assioma ci ricorda che, in una situazione di frammentazione politica, alla quale a livello locale partecipa la miriade di liste civiche, «vince chi riesce a tenere uniti i suoi». Tommasi è riuscito nel miracolo di tenere unita una coalizione («Rete!») in un’area tradizionalmente litigiosa. Il risultato è stato raggiunto con un lungo processo di costruzione della coalizione, con numerosi «tavoli» per il programma, forse inutili per governare, ma certamente utili per coagulare le diverse componenti. Al contrario, come è noto, il centrodestra ha dimenticato che «chi si divide, perde».
Sono stati poi importanti anche altri fattori. In primo luogo, la personalità incolore del sindaco uscente Sboarina, candidatura inventata dal defunto senatore e assessore comunale Bertacco (che non a caso aveva deleghe che «valevano» quasi il 50% del bilancio comunale), dopo che per il secondo mandato Tosi aveva deciso di presentarsi solo con la Lega, senza gli alleati del centrodestra. Il quinquennio è stato caratterizzato da una gestione ordinaria degradata, che trova nello stato delle strade, piene di buche come mai, un indicatore emblematico; e nei grandi progetti continuamente enunciati ma mai nemmeno avviati, un elemento ormai incontrovertibile di incapacità amministrativa: tutti i veronesi vedono ogni giorno le pensiline del progetto di filovia pronte sulle strade ormai da molto tempo, ma il progetto è fermo da 15 anni e al ministero competente per il finanziamento, ormai, si mettono a ridere quando arriva l’ennesimo stop o l’ennesima richiesta di variante da Verona.
Il quinquennio di Sboarina è stato caratterizzato da una gestione ordinaria degradata che trova nello stato delle strade e nei grandi progetti mai avviati un elemento incontrovertibile di incapacità amministrativa
Nell’area di centrosinistra il disastro elettorale del 2017 e il timore di fare il bis hanno portato alla spasmodica ricerca di un «papa straniero» e a una coalizione nella quale i partiti con un riferimento nazionale (compreso il Pd) hanno avuto la saggezza di rimanere sullo sfondo.
Il nuovo sindaco si trova un panorama socio-economico cittadino piuttosto articolato. Il declino delle infrastrutture finanziarie che hanno sostenuto lo sviluppo economico e sociale nel Novecento, e fino a pochi anni fa, è ormai irreversibile. L’Assicurazione cattolica è incorporata in Generali; la Banca popolare di Verona si è fusa in Bpm, con baricentro Milano; la Fondazione Cariverona ha perso una quota molto consistente del proprio patrimonio e non può più svolgere il ruolo che aveva avuto nel recente passato di «sostegno» del territorio.
Gli industriali e le agenzie strumentali della regione (Veneto lavoro) plaudono alla capacità di ripresa del territorio provinciale dopo la crisi generata dalla pandemia. Ma la ripresa del mercato del lavoro è avvenuta quasi esclusivamente con le diverse forme di rapporti di lavoro precario e in settori a bassa qualificazione. Si stanno facendo sentire soprattutto i «limiti sociali» allo sviluppo. In agricoltura, nell’edilizia, ma anche in vari settori del manifatturiero e del terziario non si trovano lavoratori disponibili: le fabbriche della Bassa ormai espongono cartelli «cercansi lavoratori, anche senza esperienza» e gli imprenditori si rivolgono agli amministratori locali nella speranza di poter reperire manodopera. La disponibilità di lavoratori non c’è, in parte per ragioni demografiche ma anche per la carenza delle competenze possedute. D’altra parte, la carenza di competenze inizia fin dalla scuola: anche a Verona (anche se meno che nella media italiana) un terzo degli studenti delle superiori manifesta carenze a livello di competenze linguistiche e un quarto a livello di competenze numeriche. E molti giovani con competenze medio-alte, secondo i dati Aire, preferiscono andare all’estero, con un trend in crescita.
La coalizione di Tommasi ha eletto molti giovani e molte donne (bene, perché Verona aveva una percentuale di amministratori giovani e di donne inferiore di un paio di punti alla media nazionale), promettendo azioni in questo settore. Ma il comune, nel marasma organizzativo lasciato dall’«abolizione» delle province negli interventi sul mercato del lavoro, di per sé ha un ruolo abbastanza limitato, a meno che con si metta in rete con gli altri comuni dell’area metropolitana per i progetti Gol/Pnrr.
La città dispone di un tessuto di volontariato e di organizzazioni di terzo settore molto ricco e operante in diversi ambiti del sociale. Ma gli interventi sugli ambiti sociali che segnalano maggiori criticità non possono essere affrontati in solitaria dal servizio pubblico competente, e nemmeno in modo isolato dalle varie cooperative sociali. Alla crescita dell’invecchiamento (gli abitanti di 65 anni e oltre superano il 23%) occorrerà rispondere in modo articolato, con un sistema locale che integri la domiciliarità con strutture residenziali flessibili a seconda dei diversi gradi di autosufficienza dell’anziano: e questo non lo può fare né il terzo settore da solo, né il pubblico autonomamente. I comportamenti anomici degli adolescenti (le cosiddette baby-gang sono in crescita anche a Verona, anche tra i giovani di seconda generazione) necessitano, ancora una volta, di cooperazione tra diverse filiere professionali e sociali, sia per la comprensione del fenomeno sia per un intervento che integri l’azione educativa con quella assistenziale ed eventualmente terapeutica.
La pandemia ha provocato una crescita delle povertà estreme (ma sicuramente questo non ha influito sui risultati elettorali) ed è ormai consapevolezza diffusa che non basterà aumentare i posti nelle mense «per i poveri» o nei dormitori per i senzatetto. Anche in questo caso è fondamentale la cooperazione tra i diversi soggetti, anche nell’utilizzo dei fondi dedicati del Pnrr.
Nei prossimi anni, nel territorio veronese andranno in pensione 30 medici di base all’anno. Già oggi c’è una situazione di sofferenza e per i cittadini trovare un sostituto è un’impresa. Rispetto a quella che diventerà una vera e propria emergenza, sarà difficile per il comune limitarsi a invocare la competenza regionale, perché i cittadini hanno nel sindaco il primo referente istituzionale e senza medico di base è impossibile fruire della medicina specialistica (ospedaliera e non), molto presente a Verona e con un buon livello di efficienza. Il comune sarà quindi inevitabilmente chiamato a riappropriarsi del proprio ruolo di «Autorità sanitaria locale», non solo per i Tso o le ordinanze per situazioni straordinarie.
Gli «Ambiti sociali territoriali», nati in sordina su iniziativa ministeriale e regionale, sono probabilmente destinati a diventare la nuova struttura intermedia di governo del Welfare, già nell’attuazione del Pnrr. Si tratta, alla fin fine, di reti di comuni. Gli effetti dell'esasperata cultura localistica hanno avuto nel recente passato esiti devastanti, sia nei rapporti di scarsa cooperazione tra le organizzazioni di terzo settore sia nell’incapacità di sviluppare sinergie tra istituzioni pubbliche. Tuttavia, vista la cultura e la prassi di Tommasi, potrebbero anche esserci degli sviluppi interessanti in direzione diversa.
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