Maratona polacca. A pochi mesi dalle elezioni presidenziali, gli effetti positivi della vittoria (seppure di stretta misura) di Bronislaw Komorowski sul rivale Jaroslaw Kaczynski, sono già evidenti. Il neo-presidente della Repubblica, membro della Piattaforma Civica (PO), ha dichiarato che non abuserà del potere di veto di cui il suo predecessore, il defunto Lech Kaczynski (scomparso nel’aprile 2010 nella catastrofe aerea di Smolensk),si è servito per bloccare gran parte delle proposte di legge avanzate dal governo di centro-destra. Un aiuto alla stabilizzazione della scena politica viene proprio da Jaroslaw Kaczynski che, dopo la sconfitta alle elezioni, ha abbandonato i toni conciliatori della campagna elettorale e ripreso la retorica nazional-populista, con il risultato che i sondaggi danno il suo partito Diritto e Giustizia (Pis) in netto calo e alcuni dei suoi membri si stanno spostando verso la PO. La vittoria di Komorowski ha ridato credibilità alla Polonia sulla scena internazionale: il neo-presidente ha più volte ribadito la convinta adesione della Polonia alle politiche comunitarie (Varsavia ha ormai soppiantato Roma all’interno delle istituzioni di Bruxelles, come quarto «grande» d’Europa) e incoraggiato il riavvicinamento con la Russia. Dopo anni di polarizzazione della scena politica e di populismo alimentato dai fratelli Kaczynski, la società polacca sembra aver scelto la moderazione e il pragmatismo della PO come conferma l’ampia vittoria conseguita dalla Piattaforma Civica in occasione delle elezioni amministrative dello scorso novembre. La congiuntura politica favorevole ha spinto il gruppo dei “riformatori” della PO (tra questi è annoverato anche l’attuale presidente della Repubblica) a chiedere un’accelerazione delle riforme che il governo Tusk aveva messo in cantiere all’inizio della legislatura. Tra queste alcune, come la riforma delle pensioni – che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile, l’abolizione dei privilegi per gli appartenenti all’esercito e alla polizia e per gli agricoltori –, il blocco degli stipendi (almeno per certe categorie), la graduale abolizione della miriade di sussidi statali (alcuni ereditati dal regime comunista, altri introdotti successivamente), sono da molti ritenute necessarie per ridurre il debito pubblico del paese, che attualmente sfiora il 54% del Pil.
In agosto, però, Tusk ha ribadito che il suo governo continuerà con la strategia dei piccoli passi che lo ha contraddistinto negli ultimi due anni e che gli è valsa l’etichetta di “ex liberale”. Vi saranno solo piccole modifiche al sistema pensionistico – nessun aumento dell’età pensionabile, né abolizione degli aiuti statali – ma al contrario, vi saranno ulteriori aumenti dei salari e delle pensioni e crescerà l’occupazione nel settore pubblico. L’unica misura restrittiva annunciata in campo economico è l’aumento dell’1% dell’Iva. La cautela del primo ministro (e dell’ex “liberista puro”, il ministro delle Finanze Rostowski) deriva dalla constatazione che i polacchi sono “moderatamente” soddisfatti del governo e che questo equilibrio non debba essere infranto, soprattutto in attesa delle elezioni parlamentari che si terranno nel settembre dell’anno prossimo. Il sostegno alla PO (circa il 41% dell’elettorato) è alto, ma non dà segnali di crescita, mentre quello dell’alleato di governo, il partito contadino (SL) è in calo. Nella strategia dei piccoli passi Tusk è tuttavia aiutato dalla congiuntura favorevole in campo economico: la crescita del Pil – +3,5% nel secondo quadrimestre 2010 – è addirittura superiore alle aspettative, le imprese private riprendono ad assumere facendo sperare in una diminuzione della disoccupazione (dall’attuale 11 al 10%) e il programma di privatizzazioni porta denaro alle casse dello stato. I fattori che trainano la ripresa restano comunque la domanda interna (quest’anno la crescita prevista è del 3,5%, il doppio rispetto al 2009) e gli aiuti che vengono dall’estero: i prestiti del Fmi, i finanziamenti dell’Unione europea e quelli in vista del Campionato europeo di calcio del 2012.
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