Elezioni europee: Polonia. In Polonia, le elezioni europee si sono svolte sullo sfondo di una crisi dai segnali contradditori.
Dalla fine del 2008, quando la crescita del Pil era stimata al 3,7% e il deficit di bilancio al 2,5%, lo scenario economico è cambiato radicalmente. Le ultime rilevazioni indicano un deficit pari al 3,9% e se le prospettive di un progressivo aumento, nel prossimo triennio, sino 5% dovessero avverarsi, l'ingresso nella zona euro per Varsavia si allontanerebbe inesorabilmente. I dati relativi al Pil sono discordanti – alcune stime indicano un calo dello 0,7%, altre dell’1,4% - ma tutti indicano una crescita negativa e la parola recessione compare sempre più spesso sulla stampa polacca. D’altro canto, però, collocati nel contesto europeo, questi risultati non sono così malvagi. Se poi guardiamo al sistema bancario, ci accorgiamo che quello polacco ha passato sostanzialmente indenne la tempesta finanziaria, grazie ad una politica cauta nella concessione dei crediti. Per certe banche questo significa persino la possibilità di acquisire parti di giganti mondiali in difficoltà (Pko ha rilevato le attività finanziarie e bancarie del colosso americano Aig).
La maggior parte degli economisti polacchi tuttavia resta pessimista riguardo alla situazione economica e ritiene che il peggio debba ancora venire. Nonostante la svalutazione dello zloty, l'export polacco verso l’area Ue - soprattutto verso la Germania - è diminuito del 25%, e addirittura del 40% e 65% nei confronti di Ucraina e Russia. La produzione industriale è in calo e il numero dei disoccupati - le stime parlano di oltre due milioni nel 2010 - in crescita. Eccezioni virtuose come la Fiat Poland, che non riesce a soddisfare le richieste di automobili di piccola cilindrata (provenienti soprattutto da parte di Berlino), non possono invertire il quadro generale di una economia il cui successo si basa soprattutto sullo sviluppo delle piccole e medie imprese, oggi le più colpite dalle restrizioni al credito introdotte dalle banche.
Al momento, nonostante l'inflazione al 4% e la crescita della disoccupazione, non si sono registrati seri contraccolpi sociali. Da una parte la politica di espansione del bilancio - condotta sia dal precedente governo Kaczyński sia dall'attuale squadra di Donald Tusk - ha portato ad una crescita dei consumi, che solo recentemente ha iniziato a rallentare. Dall'altra il coordinamento dei lavoratori è ostacolato sia dalla dispersione in centinaia di sindacati (un'eredità del movimento Solidarnosc) che operano nelle grandi fabbriche sia dal fatto che le imprese medie e piccole - l'89% di quelle operanti - non dispongono dei requisiti necessari per fondare un'organizzazione sindacale. A questo si aggiunge poi l’intervento di mediazione della Commissione tripartita (della quale fanno parte, oltre ai sindacati, i rappresentanti dei datori di lavoro e del governo).
Nonostante l'allarmismo della maggior parte degli economisti, il governo - e con lui Gazeta Wyborcza, il principale quotidiano polacco - cerca di minimizzare la portata della crisi, sostenendo che le sue radici sono esterne al paese e che, nonostante tutto, la Polonia naviga in acque migliori della maggior parte dei paesi europei. Lo scontento crescente degli operai e gli attacchi dell'opposizione, sia di destra che di sinistra, che imputa all’esecutivo di avere preparato il terreno alla crisi attuale con la politica di abbassamento delle tasse e di aumento della spesa pubblica, lo hanno comunque spinto a prendere le prime misure. Intanto, per la prima volta dall'89, il governo ha parlato esplicitamente della necessità di "salvaguardare i posti di lavoro". In estate è prevista l'introduzione di una sorta di cassa integrazione per gli operai che, secondo le normative attuali, possono essere licenziati in massa, dopodiché ricevono un sussidio di disoccupazione di 662 zloty al mese (circa 150 euro). È probabile che questa crisi, a prescindere dal suo evolversi, costituisca un punto di non ritorno nella politica liberista avviata, a partire dal 1989, dal primo governo post-Solidarność.
I risultati delle elezioni europee riflettono queste incertezze. La Piattaforma civica (PO) ha ottenuto un inaspettato successo, il 44,3%, mentre Diritto e Giustizia dei fratelli Kaczyński ha raccolto solo il 24%, restando comunque la seconda forza politica del paese. A sorpresa rispunta l’Alleanza della Sinistra Democratica (SLD) che assieme al Partito del Lavoro (PP) si attestano al 12,3%. Il partito agrario, alleato della PO al governo riceve solo il 7,03%. Gli elettori hanno dunque premiato le forze pro Europa, ma questo risultato va inserito nel contesto di una partecipazione al voto, il 28%, molto bassa, specie se messa a confronto con quella di altri paesi dell’Europa orientale, come la Lettonia nella quale, nonostante la crisi, ha votato il 53% degli aventi diritto. La bassa affluenza colpisce in un paese come la Polonia che beneficia, in maniera visibile, degli aiuti della Ue soprattutto nel settore delle infrastrutture, tradizionalmente l’anello debole dell’economia e che, proprio grazie all’Europa, ha conosciuto una prima modernizzazione.
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