Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato di essere favorevole alla sospensione dei brevetti per i vaccini, rendendosi protagonista di una svolta epocale. La presa di posizione del presidente Biden ha un potere evocativo, una suggestione simbolica, che è probabilmente ancora più rilevante degli effetti concreti che indurrà nell’immediato. Senza il vincolo della proprietà intellettuale, infatti, ciascuna azienda farmaceutica potrà, in teoria, produrre i vaccini già approvati, abbattendo i tempi legati alla produzione e alla distribuzione, permettendo così di velocizzare e democratizzare la lotta al Covid-19. Eppure, mentre questo provvedimento potrebbe essere fondamentale per i Paesi in via di sviluppo, nei Paesi industrializzati il numero limitato dei vaccini prodotti non è l’unico scoglio all’immunizzazione della popolazione.
Nonostante più di 3 milioni di decessi correlati a Covid-19, e nonostante il ruolo centrale dato alla vaccinazione nel controllare la pandemia, le indagini in molti Paesi (Usa, Francia, Italia) hanno rilevato che quasi il 30% delle persone sono riluttanti a farsi vaccinare. Una ricerca della Fondazione Italia in salute, rivela che in Italia è quasi una persona su quattro a essere reticente. Numeri che potrebbero impedire di raggiungere l’immunità di gregge, il punto in cui il virus non può più diffondersi facilmente attraverso la popolazione e favorire lo sviluppo di nuove varianti. La resistenza alla vaccinazione, chiamata anche esitanza vaccinale (dall’inglese vaccine hesitancy) è un fenomeno complesso, con radici che toccano molteplici temi, come il contratto sociale, le libertà e responsabilità individuali, ma anche la relazione gerarchica medico-paziente che nella società attuale non è più concepibile.
Quando circa 40 anni fa i tassi di vaccinazione sono iniziati a calare in modo rilevante, gli esperti di salute pubblica hanno inizialmente puntato il dito contro i gruppi «no-vax» e le loro attività di disinformazione. Ci è voluto del tempo, prima che nuove ricerche rivelassero che in realtà sono meno del 5-10% gli individui che hanno forti convinzioni anti-vaccinazione. Per quanto conveniente, incolpare i no-vax offriva una spiegazione inadeguata e parziale.
Il problema principale sono le ansie e le paure degli "esitanti", che interrogati sui loro dubbi verso i vaccini, dichiarano che il problema è la fiducia verso medici, case farmaceutiche e autoritàIl problema principale non erano le persone che si opponevano alla vaccinazione «in linea di principio», bensì ansie e paure. Quando gli «esitanti» vengono interrogati sui loro dubbi, molti dichiarano che il problema è la fiducia. Non si fidano di medici e autorità sanitarie che insistono sul fatto che tutti i vaccini siano sicuri, non si fidano delle case farmaceutiche e sono ansiose rispetto ai possibili effetti collaterali. Già nel 2019, prima dello scoppio dell’attuale pandemia di Covid-19, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) includeva l’esitazione vaccinale tra i dieci maggiori pericoli per la salute mondiale. E se l’esitazione vaccinale è una questione critica di per sé, diventa una questione vitale (o mortale) durante una pandemia.
In questo scenario, la questione della sospensione di Astrazeneca e di Johnson & Johnson è stata fortemente criticata. Quando all'inizio di marzo 2021 sono emersi timori di effetti collaterali gravi del vaccino Astrazeneca, in seguito a segnalazioni di una possibile associazione tra il vaccino anglosvedese e sintomi tromboembolici, in molti hanno evidenziato il rischio di aumentare l’esitanza vaccinale. Infatti, nonostante il comitato per la sicurezza dei vaccini dell'Agenzia europea del farmaco (Ema) abbia raccomandato di proseguire le vaccinazioni, perché i benefici sono maggiori dei minimi rischi, la fiducia nel vaccino è crollata. Secondo un sondaggio Yougov, in Italia e Spagna solo il 36% e il 38% delle persone ritiene che il vaccino Astrazeneca sia sicuro.
Vaccinazione, paure e percezione del rischio sono dinamiche legate a doppio filo. Da una parte sembra che il processo stesso di vaccinazione crei stress nei pazienti, generando esperienze inaspettate post-vaccinazione. Per esempio, durante i trial di sperimentazione del vaccino Astrazeneca è stato trovato che quasi lo stesso numero di persone che hanno ricevuto il placebo e quelle che hanno ricevuto il vaccino hanno riportato effetti collaterali (rispettivamente il 28% e il 38%. Dall’altra è importante riconoscere che ogni prodotto biologico, farmaco o vaccino, è corredato di rischi di reazioni indesiderate. Nella maggior parte dei casi queste reazioni non sono gravi, ma in alcuni rarissimi casi, possono verificarsi reazioni più gravi. Proprio per questo motivo, però, sono stati sviluppati dei sistemi di sorveglianza per monitorare e studiare le reazioni post-vaccinazione, con l’obiettivo di rilevare e analizzare anche possibili reazioni non emerse durante i trial di sperimentazione.
È importante riconoscere che ogni prodotto biologico è corredato di rischi di reazioni indesiderate, perciò sono stati sviluppati sistemi di sorveglianza per monitorare le reazioni post-vaccinazioneIl primo sistema di monitoraggio degli effetti collaterali specificamente dei vaccini, il Vaccine Adverse Events Reporting System (Vaers), è stato istituito negli Stati Uniti nel 1990. È stato una conseguenza del National Childhood Vaccine Injury Act, che nel 1986 sancì un fondo del governo Usa per risarcire le vittime di effetti collaterali dei vaccini. L’obiettivo era quello di alleggerire il peso delle richieste di risarcimenti dalle case farmaceutiche, per scongiurare il pericolo che quest’ultime smettessero di produrre vaccini, mettendo così a rischio il programma di immunizzazione nazionale. All’inizio degli anni Ottanta, infatti, alcune case farmaceutiche avevano iniziato ad abbandonare il settore dei vaccini perché economicamente troppo rischioso. Uno dei requisiti del provvedimento era che qualsiasi «evento avverso» a seguito e forse dovuto alla vaccinazione dovesse essere segnalato dalle case farmaceutiche, operatori sanitari e pazienti stessi a un registro centrale, il Vaers. Altri Paesi hanno poi seguito l'esempio. Così, in Italia, il sistema di farmacovigilanza dei vaccini è organizzato e gestito dall'Agenzia italiana del farmaco. Nei Paesi Bassi queste attività sono condotte da un istituto ad hoc, Lareb, mentre il Regno Unito ha un sistema chiamato yellow cards gestito dalla Medicines and Healthcare Products Regulatory Agency, Mhra. Le informazioni raccolte in questi database sono composte da segnalazioni che, in teoria, possono essere fatte da chiunque: pazienti, produttori e operatori sanitari. Questi rapporti sono categorizzati ed elaborati statisticamente a livello nazionale, nonché in un sistema europeo gestito dall'Ema e in un sistema mondiale gestito dall'Oms.
Questi sistemi potrebbero essere un alleato fondamentale nel rassicurare la società e rendere più trasparente il processo di vaccinazione, eppure sono poco conosciuti e, in alcuni casi, anche poco chiari nella gestione ed elaborazione dei dati. Gli esperti sono occupati principalmente in dibattiti su questioni metodologiche, preoccupati di come ottenere una maggiore fiducia statistica. Tuttavia, la fiducia statistica non si traduce direttamente in fiducia del pubblico, come dimostra la recente esperienza con il vaccino Astrazeneca.
Nel maggio 2020 abbiamo suggerito che la chiarezza sulla responsabilità in caso di effetti collaterali è essenziale per incoraggiare la fiducia del pubblico. Ma lo scandalo dei contratti tra l’Ue e le case farmaceutiche, e le posizioni di molti esperti in salute pubblica suggeriscono che segretezza e approccio paternalistico sono ancora tendenze dominanti. Proprio a seguito della sospensione di Astrazeneca tre medici con sede a Londra hanno chiesto «che il monitoraggio della sicurezza dei vaccini avvenga fuori dalla ribalta dei media poiché i rapporti sensazionalisti ed esagerati danneggeranno irreparabilmente la fiducia del vaccino». Non siamo d'accordo. La segretezza promuove la sfiducia, non la fiducia. La trasparenza è essenziale per rafforzare la fiducia del pubblico nei vaccini. I sistemi per la segnalazione degli eventi avversi a seguito della vaccinazione dovrebbero pertanto essere ampiamente conosciuti, facilmente accessibili e trasparenti nei criteri di raccolta ed elaborazione dei dati. La questione che segue, naturalmente, è come raggiungere questo obiettivo.
Riproduzione riservata