Ad agosto, quando solitamente si va in vacanza, le disuguaglianze di condizioni di vita tra le famiglie italiane, e tra queste e quelle dei Paesi forti dell’Europa, si palesano nel modo più evidente. Basterebbe un giro per le periferie delle città del Nord, i centri storici decaduti del Mezzogiorno, le campagne e le aree interne spopolate della intera penisola per farsi un’idea di quanti restano a casa. Anziani accaldati e sofferenti, lavoratori senza ferie, giovani stagionali, bambini spesso in sovrappeso si accalcano intorno a luoghi improvvisati di refrigerio o di svago a buon mercato, talvolta in località turistiche dove ben altre sono le opportunità di cui godono gli occasionali frequentatori, italiani e stranieri.

Nel 2014, secondo la rilevazione realizzata dall’Istat nell’ambito della indagine europea sui redditi e le condizioni di vita (SILC-Statistics on Income and Living Conditions), metà (49,2%) delle famiglie italiane non ha potuto trascorrere una settimana di vacanze lontano da casa, contro un terzo dell’Inghilterra, un quarto della Francia e ancor meno della Germania. In aggiunta a ciò, dal 2008 ad oggi – gli anni segnati dalla recessione economica – l’incidenza percentuale delle famiglie italiane che non si è mai spostata è aumentata di ben dieci punti percentuali. Guardando all’interno di questo universo di non vacanzieri, le differenze tra Paesi diventano ancora più palesi: due famiglie italiane su tre numerose – coppie di adulti con tre o più figli minori o famiglie composte da tre e più adulti e figli minori – sono costrette a rinunciare alle vacanze (seguite dagli anziani soli), mentre nei Paesi citati a restare a casa sono soprattutto madri sole con figli, il gruppo sociale a maggior rischio di povertà. 

L'impossibilità di trascorrere una settimana di vacanza è un indicatore cosiddetto semplice che – insieme ad altre difficoltà dichiarate (ad esempio non essere in grado di pagare le bollette o di fronteggiare una spesa imprevista di 800 euro) – concorre al calcolo dell’indicatore sintetico di deprivazione. Ma, secondo alcuni, in Italia, grazie al clima favorevole e al paesaggio variabile, questo indicatore semplice non costituisce una deprivazione di pari valore rispetto a Paesi con un clima più rigido e con minori città d’arte. Si dimentica così che esso misura la possibilità non solo "di cambiare aria", ma di vivere momenti di socializzazione significativi, di venire a contatto con altre culture e tradizioni, di accrescere l’autonomia e la stima di sé o, semplicemente, di avere momenti di puro svago. Fino a un passato recente, le tante esperienze di campi estivi offerte dagli enti locali riuscivano a offrire dei surrogati, spesso validi, di tutto ciò. Oggi, con i tagli ai bilanci locali, sono ridotte al lumicino e per lo più affidate alla buona volontà di qualche parroco o associazione di volontari. E così al mezzo milione di minori in condizioni di povertà assoluta della Campania, della Sicilia e della Calabria – tanti se ne contano in queste sole tre regioni – non resta che qualche tuffo in una piscinetta gonfiabile da pochi euro.