A giudicare dalle inopportune e non infrequenti uscite pubbliche di alcuni, che ricoprono importanti cariche istituzionali, la memoria e la storia sono sovente sottoposte nel nostro Paese a un uso (spesso un abuso) politico. Si cerca cioè di veicolare attraverso azioni polemiche una memoria e una storia lontane dai fatti e dalle ricostruzioni storiografiche. Se questo accade in molti ambiti, va sottolineato che eventi traumatici e tragici come le stragi avvenute in Italia negli anni Settanta e Ottanta sono fra quelli più sottoposti a questo uso politico. Va sottolineato che eventi traumatici e tragici come le stragi avvenute in Italia negli anni Settanta e Ottanta sono fra quelli più sottoposti a questo uso politico

È anche per questo motivo che ci pare utile tornare a ripercorrere le vicende legate alla strage di Ustica, questa volta attraverso il lungo percorso giudiziario che ne è seguito.

I fatti sono ben noti: nella serata del 27 giugno 1980 l’aereo DC-9 dell’Itavia partito da Bologna scomparve dai radar a nord dell’isola di Ustica. Fra le 81 persone a bordo non vi furono sopravvissuti. Immediatamente venne prospettata l’ipotesi del cedimento strutturale, tesi che portò l’Itavia, accusata di fare volare aerei in cattive condizioni, all’esclusione dai voli di linea.

Nel luglio 1980 la Procura di Roma ricevette gli atti da Palermo e il Pm Giorgio Santacroce aprì un fascicolo per strage: iniziò quindi un lungo e complesso iter processuale, costellato di difficoltà e di vicende mai del tutto chiarite. Un percorso che non è ancora concluso.

Numerose furono le Commissioni che si insediarono e le relazioni peritali che furono fornite sia su sollecitazione ministeriale sia su richiesta dalla magistratura; anche la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi si occupò di questo evento.

Immediatamente dopo l’inabissamento del DC-9 il ministro dei trasporti Rino Formica nominò una Commissione d’inchiesta guidata da Carlo Luzzatti, che in una relazione preliminare escluse il cedimento strutturale e la collisione, indicando in una esplosione, presumibilmente un missile, la causa dell’incidente. Vennero rilevate nei tracciati indicazioni della presenza di un altro velivolo nelle vicinanze del DC-9, tesi sostenuta anche dagli accertamenti effettuati presso il National Trasportation Safety Board.

Nel 1984 al Pm Santacroce si affiancò il giudice istruttore Vittorio Bucarelli, che nominò una Commissione peritale coordinata da Massimo Blasi; il 16 marzo 1989 i periti presentarono una relazione in cui si rilevava la presenza di un aereo militare nei pressi del DC-9 e si affermava che l’incidente era dovuto a una esplosione di un missile avvenuta in prossimità della zona anteriore del velivolo. Nello stesso mese di marzo, l’allora ministro della Difesa, Valerio Zanone, diede l’incarico al generale Pisano, capo di Stato Maggiore dell’Aereonautica, di svolgere un’inchiesta che valutasse il rispetto delle procedure e delle norme da parte degli enti e delle forze armate interessate. La relazione divenne una sorta di contro-relazione rispetto alle conclusioni della Commissione Blasi. Il 17 novembre 1988 Il presidente del Consiglio Ciriaco De Mita nominò una commissione d’indagine guidata da Carlo Maria Pratis, che depositò una relazione in cui si affermava come l’incidente fosse stato causato da un oggetto esplosivo, non escludendo la presenza di una bomba.

Nel luglio 1990 l’inchiesta fu affidata al giudice Rosario Priore, che nominò un nuovo collegio di periti, coordinato da Aurelio Misiti. Nel 1994 la relazione presentata affermava che l’incidente era stato causato da una bomba collocata nella toilette dell'aereo, ma due periti presentarono un'altra relazione che non escludeva il missile. Le conclusioni del collegio Misiti, anche alla luce di numerosi riscontri che non deponevano per questa ipotesi, non convinsero i magistrati inquirenti, che inviano a Priore un documento con cui contestavano la tesi sostenuta. Il giudice chiuse l’inchiesta nel 1999 e sostenne che l'abbattimento del DC-9 era avvenuto all'interno di un episodio di "guerra aerea". Fu chiesto il rinvio a giudizio di generali, ufficiali e sottoufficiali dell’Aeronautica accusati di alto tradimento e di avere ostacolato le indagini: alla fine dell’iter processuale, tutti gli accusati furono assolti

Dopo aver chiesto ulteriori perizie, in specifico sui tracciati radar, il giudice chiuse l’inchiesta nel 1999 e sostenne nella sua sentenza di ordinanza di oltre cinquemila pagine che l'abbattimento del DC-9 era avvenuto in presenza di altri velivoli, all'interno di un episodio di «guerra aerea». Nell’agosto 1998 fu chiesto il rinvio a giudizio di generali, ufficiali e sottoufficiali dell’Aeronautica accusati di alto tradimento e di avere ostacolato le indagini: alla fine dell’iter processuale, tutti gli accusati furono assolti. Si sono aperte in seguito cause civili e nel 2010 i giudici di Palermo hanno condannato i ministeri dell'Interno, dei Trasporti e della Difesa a risarcire i familiari di tre vittime.

Infine, il 21 giugno 2008, la procura di Roma ha riaperto, anche in seguito alle affermazioni di Francesco Cossiga, l'inchiesta sulle cause che hanno determinato la strage di Ustica e due anni dopo il ministro Alfano ha firmato le rogatorie internazionali disposte dalla Repubblica di Roma rivolte agli Stati Uniti, alla Francia, al Belgio e alla Germania.