La sfiducia nella capacità di onorare il nostro debito pubblico sta rendendo sempre più salato il conto da pagare. È stato valutato che per riacquistare la fiducia degli investitori occorrerebbe ridurlo di almeno 400 miliardi di euro. Un obiettivo non facile, il cui perseguimento, oltre a eventuali imposte patrimoniali, richiede la vendita di parti consistenti  del patrimonio pubblico, principalmente immobiliare. Una modalità buona, per scopo e per operatività, di attuazione dei programmi di alienazione sarebbe quella che riuscisse a cogliere contestualmente due obiettivi: il taglio del debito e la riduzione dell’esposizione del sistema bancario nei confronti di tale debito. Il sistema bancario ha fatto credito allo Stato anche diventando debitore dei sottoscrittori delle sue obbligazioni. Se aumentano le probabilità per i suoi crediti di entrare in sofferenza, degrada la certezza della restituzione del capitale preso a prestito. Più lontana nel tempo è la scadenza delle obbligazioni, minore è la fiducia che i loro sottoscrittori possano recuperare l'intero capitale investito.

È possibile per le obbligazioni bancarie salvare i loro sottoscrittori contribuendo, al tempo stesso, ad alleggerire il carico di Btp e di altri titoli pubblici degli istituti di credito e a ridurre il debito pubblico?

Potrebbe essere possibile se lo Stato riuscisse a convincere i sottoscrittori delle obbligazioni bancarie della convenienza, per essi, a trasformarle in titoli rappresentativi di un dato ammontare del suo debito a sua volta trasformato in beni.

Il meccanismo operativo dovrebbe prevedere la costituzione di un fondo immobiliare, chiuso o aperto è da definire (o di un altro veicolo, se non si mettono in vendita solo palazzi), al quale lo Stato conferisce parti del suo patrimonio per un determinato ammontare. Gli obbligazionisti delle banche dovrebbero "surrogare" i loro istituti come creditori dello Stato per i titoli posseduti. Essi, tuttavia, non diventerebbero detentori di titoli del debito pubblico, bensì sottoscrittori di quote del fondo. Man mano, e nella stessa misura, in cui procede questa particolare "vendita" delle quote del fondo, si procede alla cancellazione del debito pubblico.

L'operazione fa perno sull'adesione volontaria dei sottoscrittori delle obbligazioni bancarie. La si otterrà solo se ne percepiranno la convenienza. La riduzione del rischio di rimetterci tutto o parte del capitale investito costituisce già un beneficio; un vantaggio è anche la valutazione delle obbligazioni, trasformate in quote del fondo, al loro valore nominale (superiore a quello del prezzo corrente). L'avversione alla perdita, che gli studi di finanza comportamentale hanno dimostrato svolgere un ruolo fondamentale nelle nostre decisioni, potrebbe aiutare gli obbligazionisti a non rifiutare l’adesione a una simile proposta.

È possibile creare anche le condizioni per rendere redditizio sottoscrivere quote del fondo utilizzando le obbligazioni, riconoscendo, a chi lo fa, una sorta di "premio da domanda garantita", oltre, naturalmente, all’eventuale reddito prodotto dalla gestione del fondo prima della liquidazione del suo patrimonio (con i rendimenti attuali delle obbligazioni non è difficile ottenere un rendimento superiore alle cedole). Premio che dovrebbe consistere nella valutazione dei beni dello Stato conferiti al fondo a un prezzo più basso di quello di mercato. È nel meccanismo delle operazioni di cartolarizzazione che il proprietario dei beni incassi una cifra inferiore al loro prezzo corrente. In questo caso, però, il premio può essere superiore, anche in misura non del tutto trascurabile, ai costi della cartolarizzazione (che nel caso delle due Scip non furono piccoli in rapporto al valore delle operazioni), considerata la collocazione garantita delle quote del fondo.