I dati disponibili sulla salute mentale sono per lo più pochi e frammentari; le rappresentazioni epidemiologiche dei temi della salute appaiono spesso come un quadro cubista, in cui le prospettive sono scomposte, i punti di vista scollegati. Nelle prime settimane del confinamento in Italia, a marzo 2020, lo Stressometro dell'Istituto Piepoli e del Consiglio nazionale degli ordini degli psicologi ha evidenziato una crescita del 13% dei livelli di stress, e l'emergenza Covid-19 è risultata esserne la fonte più diffusa nella popolazione (per il 75% del campione); a febbraio 2021, quando ha iniziato a diffondersi la notizia di nuove varianti del virus, il livello di stress è nuovamente salito, con il 62% di intervistati che riportava un livello elevato e il 39% un livello massimo. La concomitanza tra i picchi d'ansia e la concentrazione mediatica sulla pandemia ha portato alcuni ricercatori a domandarsi se non esistesse un legame di qualche tipo: uno studio iraniano ha mostrato che la lettura di notizie connesse alla Covid-19 ha un forte valore predittivo nei confronti dei livelli di ansia.
In uno studio condotto in Italia è stato rilevato che la prevalenza di sintomi depressivi è cresciuta dal 14,3% al 32,2% tra prima e dopo il confinamento, quelli ansiosi sono passati dal 18,1% al 41,5%. Inoltre, il 64,1% del campione ha riportato un peggioramento della qualità della propria vita. I dati della Sinpia (la Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza), diffusi durante il 29° Congresso nazionale, hanno evidenziato che nei primi nove mesi del 2021 gli accessi ai servizi di emergenza neuropsichiatrica hanno eguagliato gli accessi totali dell'anno precedente, a mostrare un aumento delle emergenze tra bambini e adolescenti.
Nei primi nove mesi del 2021 gli accessi ai servizi di emergenza neuropsichiatrica dell'infanzia e dell'adolescenza hanno eguagliato gli accessi totali dell'anno precedente
Sembra quindi delinearsi un quadro catastrofico, in cui gli effetti della crisi pandemica perdureranno per anni come cicatrici indelebili nell'animo di ognuno di noi. Probabilmente è così: i confinamenti, le necessarie restrizioni della libertà personale, nonché l'aver contratto direttamente la malattia, o aver subito un lutto per via di essa, sono tutti fattori che possono aver generato un malessere diffuso e profondo. Tuttavia sarebbe un errore pensare che tutto questo sia nato a febbraio 2020 con il diffondersi della pandemia.
Analizzando più in profondità i numeri – difficili da reperire, soprattutto a livello italiano e in ambito psicologico – si può constatare un ispessimento dei problemi di salute mentale a livello mondiale, ma non si può certo dire che sia stata la pandemia a generarli. Nell'analisi dei dati nella loro complessità, sembra emergere in modo chiaro la distinzione tra fattori determinanti e fattori precipitanti, dove i primi agiscono direttamente come cause, mentre i secondi aumentano la forza di una relazione causale. Questo significa che le cause materiali dei problemi di salute mentale sono da cercarsi altrove, e prima dell'emergenza sanitaria globale.
In Italia, nel 2018 più di 2,8 milioni di persone soffriva di depressione e circa il 7% della popolazione sopra i 14 anni riportava sintomi ansiosi o depressivi
Per esempio, già nel 2012 l'Organizzazione mondiale della sanità stimava che circa il 25% della popolazione mondiale soffrisse di depressione o di ansia; nel 2018 l’Istat riportava che in Italia più di 2,8 milioni di persone soffrissero di depressione, e che in quell'anno circa il 7% della popolazione sopra i 14 anni avesse riportato sintomi ansiosi o depressivi. Tra il 1990 e il 2019 il rapporto Global Burden of Diseases ha registrato che la disabilità indotta da problemi di salute mentale è cresciuta dagli 80,8 milioni ai 125,3 milioni, e che la proporzione è aumentata dal 3,1% al 4,9%. Riguardo a bambini e adolescenti il report Unicef ha evidenziato che circa 1 adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni convive con un disturbo mentale diagnosticato, e che ansia e depressione rappresentano il 40% delle diagnosi; Medio Oriente, Nord Africa, Nord America ed Europa Occidentale sono le aree più colpite. La Società italiana di pediatria ha segnalato un aumento del 7% annuo degli accessi ai servizi di neuropsichiatria Infantile.
Come primo problema, dunque, bisogna considerare non tanto l'effetto diretto della pandemia, ma il fatto che questa si sia abbattuta sui sistemi sanitari trovandoli in gran parte impreparati. Il breakdown dei sistemi sanitari è stato la causa principale dell'aggravamento della salute a livello globale, anche riguardo alla salute mentale, dal momento che tutte le risorse sono state concentrate nella gestione della pandemia.
Occorre considerare non tanto l'effetto diretto della pandemia, quanto il fatto che questa si sia abbattuta sui sistemi sanitari trovandoli in gran parte impreparati
Openpolis riporta che soltanto Finlandia, Paesi Bassi e Svezia avevano all'opera dei programmi di telepsichiatria a livello nazionale, e che 3 su 4 sono i servizi di salute mentale che sono stati sospesi in Europa a causa della crisi pandemica. Nel corso del già citato Congresso Sinpia è emerso che circa il 25% dei giovani pazienti ha avuto difficoltà nell'accesso ai servizi territoriali. Il rapporto del Gruppo Crc di Save the Children , nel paragrafo relativo alla salute mostra che in tutta Italia i posti letto per le Neuropsichiatrie infantili sono 349, e che in media i consultori mettono a disposizione 16 ore settimanali di colloqui psicologici ogni 32 mila abitanti. Inoltre, nel rapporto sulla salute mentale del ministero della Salute emerge che sono poco più di 800 mila le persone prese in carico dal Sistema sanitario nazionale.
I problemi di salute mentale non sono una disgrazia che capita all'individuo sfortunato, non nascono da un gene sbagliato che a un certo punto non funziona più come dovrebbe. La salute mentale fa sistema con tutte le altre problematiche economiche e sociali, e vederne i numeri problematici significa guardare la contemporaneità attraverso una faccia di un prisma con molti versanti.
Il biennio 2020-2021 non è stato solo quello in cui il mondo è entrato in contatto con il Coronavirus, ma anche quello in cui le disuguaglianze si sono inasprite . Uno studio italiano mostra come la prevalenza di sintomi depressivi siano aumentati dal 33,6% al 38,9%, ma aggiunge come l'impatto sia stato maggiore nei gruppi socialmente ed economicamente svantaggiati, i giovani e tra le donne. E non è che riguarda singoli individui, ma il clima sociale per intero. Il Rapporto Censis del 2021 identifica un pervasivo crollo della razionalità come appiglio per la ripartenza, dopo aver introdotto negli scorsi anni l'espressione sovranismo psichico, che consiste in «[…] una reazione pre-politica con profonde radici sociali, che alimentano una sorta di sovranismo psichico, prima ancora che politico. Che talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria ‒ dopo e oltre il rancore ‒ diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare».
Il direttore dell’Oms Ghebreyesus ha sottolineato l’importanza dell’approccio psico-sociale nel programmare le risorse per far fronte alla pandemia e ai problemi di salute mentale che ne conseguiranno. Il Tavolo tecnico sulla Salute mentale constata - al di là di una ormai nota insufficienza delle risorse umane per garantire un servizio incisivo ed esteso - un'attenzione maggiore alla cronicità piuttosto che all'identificazione e all'intervento precoce; il documento, in modo emblematico, riporta su ogni pagina il claim «Per una salute mentale di comunità». Il target 3.1 dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite consiste in «Entro il 2030, ridurre di un terzo la mortalità prematura da malattie non trasmissibili attraverso la prevenzione e il trattamento e promuovere benessere e salute mentale». Il Piano d'Azione Europeo per la Salute Mentale dell'Oms, valido per il periodo 2013-2020, affermava che «I governi hanno un ruolo fondamentale nel creare le condizioni per conferire forza alle persone e alle comunità, promuovere e proteggere il loro benessere e rafforzarne la resilienza», e ribadisce nel rilancio del 2021-2025 l'obiettivo di «[…] rafforzare gli impegni per promuovere la salute mentale in diversi settori, inclusa la costruzione di ambienti che supportino una salute mentale positiva e la resilienza, e che aumentino l'alfabetizzazione alla salute mentale tra i professionisti oltre i confini della salute mentale».
Si tratta di quattro contributi che, pur nascendo da latitudini e da livelli molto distanti, convergono verso approcci alla salute mentale che sappiano guardare al sistema, e che non collochino l'intervento clinico dentro il perimetro circoscritto dello studio degli psicoterapeuti, ma sappiano portare le competenze psicologiche dentro il tessuto sociale della comunità. In questo senso, le esperienze italiane di psicologia sociale e di comunità sono ancora sporadiche; il modello della psicologia di quartiere va nella direzione di favorire una presenza territoriale della psicologia, nella direzione di un lavoro di infrastrutturazione relazionale per rispondere in modo più pronto ed efficiente ai tanti bisogni di salute mentale che un numero sempre maggiore di persone manifesta.
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