Può sembrare poco credibile sostenere che in questa fase siamo intrappolati in una politica che cerca identità che non riesce a trovare. Le affermazioni, anche roboanti, che vogliono proclamare identità ben connotate si sprecano, ma appartengono allo stesso genere delle frasi gridate nel buio giusto per farsi coraggio. I soggetti che agiscono sulla scena politica attuale hanno identità piuttosto deboli.
Si discetta molto sulla natura peculiare del governo in carica che si fonda su due forze che si ricordano spesso di essere diverse fra loro e che pertanto collaborano sulla base di un «contratto» che sa tanto di compromesso (malriuscito). In realtà proprio quel contratto, scritto in quella maniera, non sarebbe stato possibile se davvero i due contraenti avessero messo sul tavolo delle vere identità diverse. Invece è stato possibile perché in mancanza di esse si puntava sul fatto che un’ascesa di entrambi al potere avrebbe consentito a ciascuno di acquisirle. Ecco spiegato un accordo che si fonda sul riconoscimento reciproco di slogan che si vorrebbero identitari, con la conseguenza che per ognuna delle parti in causa ottenere un successo di facciata intorno a essi diviene essenziale per comprovare la rispettiva esistenza.
Si deve tenere conto di una situazione peculiare: né il Movimento 5 Stelle, né la Lega sono «partiti» in senso proprio, cioè strutture in grado di promuovere un comune sentire fra i propri aderenti attraverso la partecipazione attiva di questi alla sua elaborazione. Sono entrambi «movimenti di agitazione», cioè organizzazioni che usano un nucleo di personale politico per tenere alta la temperatura sociale proponendo in continuazione «mostri» (tecnicamente: fenomeni presentati come eccezionali, sorprendenti e inquietanti) che devono essere sconfitti.
Ciò non è però adatto a supportare un’azione di governo. O meglio: è anche possibile che un governo guadagni dall’indicare la sconfitta di un «mostro» come suo obiettivo essenziale, ma se i mostri si moltiplicano in continuazione, se ogni membro del governo si dà da fare per accendere un riflettore su una sua personale tenzone con un mostro diverso, la faccenda diventa poco credibile, per non dire ridicola.
[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 2/19, pp. 240-246, è acquistabile qui]
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