Alcuni elementi di forte novità hanno caratterizzato le recenti elezioni regionali in Sicilia: la vittoria del centrosinistra, un elevato livello di astensionismo e il successo del Movimento 5 Stelle. La vittoria del centrosinistra è in effetti inedita, dal momento che uno dei tratti più tipici e perduranti del sistema politico regionale è stato proprio la difficoltà a contendere la vittoria elettorale al centrodestra. Per quanto concerne l'astensionismo, pur considerando la minore propensione alla partecipazione elettorale delle regioni meridionali e della Sicilia, il salto appena compiuto (dal 33,3% al 52,6% a livello regionale, e con il dato di Palermo che si attesta sul 55,8%) sembra un segnale di particolare rilievo. A destare attenzione, in un contesto caratterizzato da una marcata vischiosità del comportamento di voto, è anche l'esplosione elettorale del Movimento 5 Stelle, che costituisce un'offerta politica di rottura rispetto al sistema partitico più consolidato e che ha sestuplicato i voti, passando da 46.396 a 285.202. Nell'insieme l'esito elettorale ha dunque comportato un consistente cambiamento.

In questa prospettiva, però, è bene tenere presente, come del resto molti commentatori hanno già evidenziato, che la vittoria del centrosinistra si è associata a una sua significativa perdita di voti rispetto alla passata tornata elettorale. Il calo è stato ancora maggiore per il centrodestra, che ha subìto un vero e proprio tracollo. Si potrebbe allora sostenere che la vittoria del centrosinistra, più che attestare una maggiore presa della sua offerta politica, sia invece l'esito della rottura di un patto antico e consolidato che si sta consumando tra offerta e domanda politica nell'area di centrodestra. Che cosa, allora, ha determinato la rottura di questo patto?

La disaffezione può avere giocato un ruolo, considerando la grave crisi di legittimità che investe la leadership di Berlusconi, e considerando l'elevato livello di litigiosità con cui le componenti del suo partito e della coalizione hanno reagito nell'isola. E tuttavia il calo della partecipazione elettorale è tale da suggerire altre ipotesi, che emergono dalla considerazione delle specificità del territorio.

In particolare, accanto all'ipotesi della disaffezione che rimanda alla figura di un elettore libero da vincoli socioculturali ma a debole identificazione politica, e dunque fluttuante nelle opinioni e nel comportamento di voto (per altro mai particolarmente diffuso in Sicilia), sembra plausibile affiancare quella della rottura del rapporto di scambio elettorale che rimanda a una diversa figura di elettore (tradizionalmente assai più diffusa), marginale quanto a estrazione sociale, ma stretto in stabili rapporti clientelari con le componenti dell'offerta politica più promettenti sul piano delle aspettative di crescita del proprio benessere.

Un indizio da approfondire in questa direzione si può trarre dall’andamento delle astensioni e del voto in alcuni quartieri di Palermo: quelli periferici, legati a condizioni di maggiore disagio e di influenza della mafia, e quelli centrali, abitati da gruppi sociali di ceto medio e medio-alto. Il calo della partecipazione sembra nel complesso più rilevante nelle sezioni di quartieri periferici come Brancaccio e Noce, dove l'astensionismo ha superato il 60% e dove la crescita del voto di protesta attribuito al Movimento 5 Stelle è stata più contenuta (restando, nell'esempio di Brancaccio, entro la soglia del 20%). Per contro, nelle sezioni dei quartieri residenziali di ceto medio come Libertà e Politeama, il calo della partecipazione elettorale è stato più limitato (generalmente sotto il dato complessivo della città); mentre più convinto è stato il sostegno al movimento di Grillo (che in alcune sezioni è arrivato a superare il 25%).

I risultati che contraddistinguono i quartieri più popolari, dove più forti sono stati in passato il voto di scambio e l’influenza della criminalità, suggeriscono che occorre guardare al lato dell'offerta per capire l'origine della rottura di un patto che aveva invece tenuto per lunghi decenni. Un'ipotesi plausibile, sotto questo profilo, è che l'erosione delle risorse pubbliche e la grave crisi finanziaria della Regione possano avere indebolito l'immagine e la credibilità del candidato come attore in grado di distribuire benefici in cambio di consenso elettorale. Inoltre, l’incertezza maggiore del quadro politico potrebbe aver spinto la mafia a restare alla finestra in attesa di riferimenti più solidi.

La classe politica regionale è oggi stretta fra il grave deterioramento del bilancio dovuto alla gestione degli anni precedenti e il rigore imposto dal governo tecnico centrale. Questi due elementi non consentono il mantenimento della spesa che lo scambio particolaristico presupporrebbe e rendono meno credibili le promesse degli attori tradizionali. È in questo quadro di difficile mantenimento delle rendite o delle garanzie pubbliche che si potrebbe leggere lo sfilacciamento di quei legami che l'offerta politica poteva rinsaldare incontrando una domanda diffusa di benefici particolari, e quindi la conseguente impennata sia degli astenuti sia di coloro che hanno dato fiducia al M5S, a scapito dei partiti tradizionali.

 

[Questo articolo è stato scritto insieme a Maurizio Giambalvo e Simone Lucido]