La recente protesta degli studenti contro il caro-affitti ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema della casa per i giovani universitari nelle grandi città. Molto si è detto riguardo l’esigua disponibilità sia di posti letto in dormitori sia di stanze economicamente accessibili nel mercato privato degli affitti. Queste carenze sono solo uno dei sintomi della preoccupante, e sempre più emergente, questione abitativa in Italia. Una questione che riguarda non solo gli studenti ma tutti i giovani.
La difficoltà di muoversi autonomamente nel mercato immobiliare, infatti, sta mettendo a dura prova i processi di indipendenza di tutti. Considerando l’impatto della crisi pandemica, il Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo 2021 ha evidenziato come ad oggi siano i costi abitativi la principale motivazione dei giovani nel rimanere a casa con i genitori (35%): si pensi che la mancanza di un lavoro stabile, che sappiamo essere fondamentale per essere autonomi, è solo la seconda motivazione per posticipare l’uscita da casa (25%). (Dati aggiornati sono rintracciabili anche nel Rapporto 2023, appena pubblicato).
Chi lascia l’abitazione dei genitori ha poi un alto rischio di trovarsi in difficoltà a far quadrare i conti, specie se si muove nel mercato delle locazioni. Questo rischio è aumentato sensibilmente negli ultimi trent’anni. Secondo i dati dell’Indagine sui Bilanci delle famiglie di Banca d’Italia, la percentuale dei nuclei di giovani poveri in affitto è passata da circa il 20% del 1991 al 68% del 2020, mentre quella dei proprietari è aumentata di 18 punti (dal 8% al 26%). La povertà tra i giovani è dunque aumentata, soprattutto tra coloro che non possono contare sull’aiuto della famiglia nell’acquisto di una casa.
Nei centri urbani il fenomeno della povertà e dell’esclusione sociale è cresciuto in maniera impressionante: oltre 50 punti percentuali (dal 15,9% nel 1991 al 68,3% nel 2020)
Tuttavia, ci si può domandare ancora se l’essere affittuari sia associato a un maggiore benessere abitativo in termini di sostenibilità dei costi, visto che nonostante la poca attrattività rispetto alla proprietà può in alcuni rappresentare una soluzione alle esigenze di mobilità territoriale alla ricerca di migliori opportunità lavorative o di studio. La risposta è negativa: la quota dei nuclei giovani per cui il canone d’affitto annuale supera il 30% del reddito famigliare disponibile, comportando una riduzione dei consumi e della qualità delle condizioni di vita materiali, è aumentata di 21,6 punti percentuali (dal 16,6% del 1991 al 38,3% del 2020).
L’accumulo di svantaggi per questi giovani si rafforza ulteriormente se consideriamo coloro che abitano nei centri urbani dove il fenomeno della povertà e dell’esclusione sociale è cresciuto in maniera impressionante, di oltre 50 punti percentuali (dal 15,9% nel 1991 al 68,3% nel 2020).
Un andamento simile si riscontra per le famiglie per cui il canone d’affitto supera il 30% del reddito, che passano da circa il 26% del 1991 a 63,6% del 2020. Approfondendo, secondo i dati Banca d’Italia e Istat, la spesa media mensile dei giovani per l’affitto nei centri urbani con più di 200.000 abitanti è aumentata in trent’anni di tre volte e mezza, arrivando a pesare nel 2021, oltre il 60% del reddito medio individuale. Questa analisi non tiene conto delle ampie differenze territoriali del nostro Paese. Tuttavia, si può affermare che le grandi città siano tutte unite da un comune denominatore: spese della casa alte e redditi bassi.
Quali possono essere allora gli interventi pubblici in grado di aiutare i giovani a soddisfare il bisogno abitativo e nel contrastare la marginalizzazione dei gruppi sociali più fragili?
Tale combinazione ha molte conseguenze. Ci limitiamo qui a ricordarne tre. La prima è quella da cui prende le mosse questa riflessione ed è la difficoltà di trovare alloggi a un canone sostenibile per gli studenti, o per meglio dire per le famiglie degli studenti. La seconda ha a che fare con l’espulsione dei nuclei più poveri dalle città e la progressiva selezione all’ingresso in materia di casa. La terza si evidenzia nel ritardo nell’uscita di casa e nella formazione di una famiglia con buona pace delle politiche per la natalità.
Quali possono essere allora gli interventi pubblici in grado di aiutare i giovani a soddisfare il bisogno abitativo e nel contrastare la marginalizzazione dei gruppi sociali più fragili? Su questo rimandiamo alla recente riflessione di Nicola Melloni. Qui ci limitiamo a ricordare che è necessario uscire dalla logica che la situazione abitativa dei giovani, studenti e non, sia una responsabilità individuale e soprattutto non abbia conseguenze collettive. Le difficoltà di un mercato immobiliare non regolato non possono essere scaricate sulle famiglie, ma richiedono a gran voce l’intervento dello Stato che ha il compito di garantire, soprattutto nelle città metropolitane, l’accesso a una casa a tutti.
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