Nel Vaticano di inizio XXI secolo, l’elezione al soglio pontificio di un americano giovane e bello si trasforma per i cardinali in una sorpresa tremenda. Si aspettavano un Vicario di Cristo malleabile e inesperto, e invece Lenny Belardo, che prende il nome di Pio XIII, spazza via spietatamente i suoi nemici, riesce a tenere in bilico i suoi alleati ed è veloce nel disinnescare gli scandali che lui stesso crea. Nella lunga traiettoria della storia dei papi, non c’è niente di davvero nuovo. Ma stupisce come Lenny abbandoni le tradizioni, post-Vaticano II, di un papato accogliente ed ecumenico. C’è un nuovo pontefice in città, e qualche volta parla proprio come uno sceriffo.
Descritto così, The Young Pope di Paolo Sorrentino (già in onda in Italia su Sky, e ora al via negli Stati Uniti, su Hbo, dal 15 gennaio) sembra la versione vaticana di House of Cards. Nei dieci episodi ben costruiti di questa serie, alcuni potrebbero vedere una caricatura dei peccati che hanno dato al Vaticano la reputazione che si è in effetti meritato più o meno dalla creazione della corte papale, all’inizio del secondo millennio. La città di Roma, la cui maestosità degradata abbiamo ammirato ne La grande bellezza, sempre di Sorrentino (premio Oscar nel 2014 come migliore film straniero), è qui condensata nel Vaticano medievale, rinascimentale e barocco. Ma sarebbe un errore considerare The Young Pope semplicemente come una parodia.
Pio XIII (Jude Law) è un papa finzionale con le qualità che spesso sono state associate ai papi del secondo dopoguerra, selezionate da Sorrentino in modo da mostrare la complessità e le ambiguità del potere papale. Nel giovane Pio XIII c’è qualcosa di Pio XII, qualcosa di Benedetto XVI e qualcosa di Francesco. E ci sono molti riferimenti diretti a figure reali degli ultimi sessant’anni: i gesti teatrali di Lenny richiamano Pio XII, e la presenza di un’anziana suora che gestisce il Vaticano al posto del papa (qui interpretata da Diane Keaton) ricorda la famigerata Pascalina Lehnert. I riferimenti alla «lobby gay» in Vaticano possono far tornare alla mente il papato di Benedetto XVI, proprio come l’uso del termine semper puer (eterno fanciullo) per descrivere Lenny – termine spregiativo che gli avversari di Benedetto amavano usare. E ci sono parallelismi tra il fittizio cardinal Voiello (Silvio Orlando), segretario di Stato di Pio XIII, e quello di Benedetto XVI, il cardinal Bertone, compresi un enorme appartamento di lusso e la viscerale passione calcistica (Napoli per il napoletano Voiello, Juventus per il piemontese Bertone).
Quanto ai richiami (e alle critiche) a papa Francesco, in Pio XIII ci sono una simile determinazione ad affrontare di petto lo stile e l’orientamento del Vaticano, e qualcosa della sua volontà di cambiare il modo in cui porta avanti i suoi affari, compreso il merchandising con su l’immagine del papa. E l’ansia, la paura e le perplessità della Curia su come gestire Pio XIII sembrano anch’esse terribilmente familiari.
The Young Pope non è una parodia, e non è nemmeno solo una satira anticlericale. Specialmente nel Rinascimento e poi all’inizio dell’età moderna, la città di Roma è stata progettata e (ri)costruita intenzionalmente come una scena teatrale per il sacro. Su questo palco, Pio XIII incarna il dramma di una sindrome tipica del Cattolicesimo: la solitudine radicale del papa, paradossalmente investito proprio del compito di tenere la Chiesa in comunione. Sorrentino dà una rappresentazione visiva, non teologica, del papato come un’icona di solitudine. Nel mondo reale, certo, stiamo ancora scendendo a patti con il fatto, visivo e teologico insieme, che ora in Vaticano ci sono due uomini vestiti di bianco. The Young Pope ci aiuta a capire quanto l’immagine della solitudine del papa sia cambiata nel momento in cui Benedetto si è dimesso e ha scelto di abitare dentro le mura vaticane, nel monastero Mater Ecclesiae.
La serie ci dice qualcosa anche sull’autorità religiosa e sui media, il cui rapporto Pio XIII è determinato a cambiare. Non vuole essere un papa popolare solo per effetto della visibilità che ottiene. Rifiuta i numerosi inviti a diventare un modello visibile e accessibile di fede per gli uomini e le donne di oggi, andando contro le nozioni correnti su questa necessità del papato. Inoltre, il giovanile Pio XIII è disgustato dalla contemporanea ossessione di essere moderni e aggiornati; proprio la sua energia sembra una minaccia mortale per la stabilità della Chiesa. La storia del papato di Lenny può essere vista come un avvertimento sulla sostenibilità del cambiamento radicale nelle nostre istituzioni sociali e politiche.
The Young Pope ha avuto una buona accoglienza quando lo scorso autunno è andata in onda in Italia. Ma può essere persino più stimolante per il pubblico americano, che si può stupire per la magnificenza del Vaticano e che di solito dà per scontato parlare di religione in termini di moralità assoluta.
La serie è un’allegoria che sfrutta il Vaticano e il papato in un modo intelligente e provocatorio, per mostrare quello che la Chiesa Cattolica incarna e rappresenta, più o meno consapevolmente, per i cattolici e per i non cattolici. Raffigurando il momento più delicato, la transizione del potere papale a un nuovo pontefice, Sorrentino ci invita a riflettere su ogni passaggio di potere. E allora si può tracciare un parallelo tra l’elezione al papato di Lenny Belardo e quella alla presidenza di Donald Trump. The Young Pope mostra cosa accade se il neo-eletto decide di rompere con le modalità di comunicazione e le etichette tradizionali, se abbandona le consuetudini legate alla visibilità, all’accessibilità e al rispetto delle tradizioni, proprio quando detiene un potere supremo, unico e terrificante. Il fatto che questi dieci episodi andranno in onda tra la fine dell’amministrazione Obama e i primi giorni di quella Trump è – per usare un’espressione teologica – provvidenziale.
Traduzione di Luca Barra.
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