Lo hanno un po' eufemisticamente chiamato “gruppo di amici” quello che nove ministri degli Esteri dell'Ue hanno deciso di formare per proporre un rafforzamento delle decisioni a maggioranza qualificata in tema di politica estera e di sicurezza comune. Si tratta del nucleo originario dei sei Paesi che nel lontano 1951 diedero vita alla Ceca (Francia, Germania, Italia e i tre Paesi del Benelux), più Finlandia, Slovenia e Spagna. Lo scopo dichiarato è quello di incrementare l'efficacia e la rapidità delle decisioni di politica estera. Così recita il comunicato sul sito del ministero degli Esteri tedesco:
“Di fronte all'aggressione russa all'Ucraina e alle crescenti sfide a livello internazionale i membri del gruppo di amici sono convinti che i processi di presa delle decisioni in politica estera devono essere adattati alla situazione al fine di rafforzare l'Unione come attore globale. Migliorare la capacità di decisione è centrale anche in vista di compiti futuri. Il gruppo intende conseguire pragmaticamente sviluppi concreti nell'ambito dei processi decisionali in campo di politica estera e di sicurezza e riferirà con regolarità agli stati membri e alle istituzioni europee sulle mosse intraprese”.
L'appartenenza al gruppo di amici, viene sottolineato, è aperta a tutti gli Stati membri. Al di là della cautela del linguaggio diplomatico/burocratico, si potrebbe trattare di una mossa di straordinaria, quasi rivoluzionaria, importanza nell'architettura e nel funzionamento delle istituzioni europee. Il voto all'unanimità imporrebbe di marciare con il Paese che ha le gambe più corte (cioè, che vuole procedere più lentamente o addirittura fermare il cammino). In realtà dà a ogni Paese membro un potere di veto, cioè un'arma di ricatto per garantire i propri interessi: o mi date quello che chiedo oppure blocco tutto. È vero che nessun Paese, neppure l'Ungheria di Orbàn, si mette sistematicamente nella posizione del guastatore. Lo hanno fatto, talvolta, i quattro Paesi del gruppo di Visegrad, che però, nel caso dell'Ucraina, non hanno trovato un punto di convergenza tra di loro.
In realtà, già il Trattato vigente consente le cosiddette “cooperazioni rafforzate”, se almeno il 55% dei Paesi (cioè 15), che rappresentano almeno il 65% della popolazione, sono d'accordo. Si tratta di applicare la cosiddetta “clausola passerella”, prevista all'art. 48 par. 7 del Trattato dell'Ue, una scappatoia inventata con astuzia per rendere più flessibile quello che appariva troppo rigido. Alcuni Paesi membri, pur restando parte dell'Unione, possono sottrarsi, su materie circoscritte, dai diritti e dai doveri dell'appartenenza alla cerchia ristretta di coloro che sono disposti a fare qualche ulteriore passo avanti verso una maggiore integrazione. È l'Europa a geometrie variabili, come si è detto in passato, ed è l'unica Europa possibile anche, e soprattutto, in vista di ulteriori allargamenti, compresi l'Ucraina e i Paesi balcanici. Si tratta, in altri termini, di una sorta di “autorizzazione a procedere”: noi non ci stiamo, ma se volete andare avanti fate pure. Se poi la cosa funziona, ci aggregheremo successivamente.
L'Unione europea è una costruzione singolare: in parte una alleanza tra Stati, in parte una confederazione di Stati sovrani e, sempre in parte, un'unione di Stati con tratti di federazione
L'Unione europea è una costruzione singolare che qualcuno ha paragonato all'ircocervo, un animale per metà capra e per metà cervo. Sarebbe una strana combinazione: in parte una alleanza tra Stati, in parte una confederazione di Stati sovrani e, sempre in parte, un'unione di Stati con tratti di federazione. Sull'argomento c'è ormai una letteratura sterminata. Costituzionalisti, scienziati politici, esperti di organizzazione e tanti altri hanno trovato una realtà multiforme e composita sulla quale esercitare le loro competenze. Gli Stati membri hanno ormai rinunciato a mettere vincoli ai mercati e agli scambi internazionali di merci e capitali, hanno in larga parte assicurato la libera circolazione dei loro cittadini all'interno dei confini dell'Unione, una gran parte di essi ha rinunciato al potere di batter moneta, hanno tuttavia evitato di unificare i sistemi fiscali e non hanno rinunciato ad avere una loro politica estera e una loro forza militare.
A parte un informato articolo di Paolo Valentino sul “Corriere della Sera” dell'11 maggio scorso, l'opinione pubblica è rimasta largamente all'oscuro dell'importanza dell'iniziativa dei nove ministri degli Esteri, come se si desse per scontato che alla fine non se ne farà nulla. L'euro-scetticismo è purtroppo penetrato nel subconscio di molti professionisti dell'informazione: può darsi che abbiano ragione, ma vi sono buone ragioni, invece, per pensare che abbiano torto.
Innanzitutto, è significativo che l'iniziativa sia partita dalla Germania di Scholz, il Paese che da anni aveva puntato di più sulla cooperazione con la Russia, anche al prezzo di diventarne largamente dipendente sul piano dell'energia. La firma al documento l'ha messa la responsabile degli Esteri Annalena Baerbock, è vero, ma non può averlo fatto senza il consenso del suo Primo ministro. La posizione è quindi del governo tedesco, che dimostra ormai chiaramente di aver voltato pagina. Come diceva qualcuno: la Germania non è un Paese da improvvisi cambi di rotta, ma quando decide di azionare il timone va avanti decisa nella nuova direzione intrapresa. Un annuncio c'era stato quando il tema del superamento del voto all'unanimità in sede europea era stato incluso nel contratto di coalizione che ha dato vita al governo arcobaleno.
È significativo che l'iniziativa sia partita dalla Germania di Scholz, il Paese che da anni aveva puntato di più sulla cooperazione con la Russia, anche al prezzo di diventarne largamente dipendente sul piano dell'energia
Qualche sorpresa la può destare il fatto che il documento sia stato firmato anche dal ministro Tajani. Nessun dubbio sulla fede europeista del ministro degli Esteri che è stato anche presidente del Parlamento europeo. Tuttavia, anche lui non può aver firmato senza il consenso del nostro presidente del Consiglio. Meloni sui temi europei ha dimostrato una grande agilità, la sua barca ha un timone molto sensibile, capace di cambiare rotta rapidamente a seconda del vento e del mare. Tutto sommato, è confortante che la coerenza col suo passato non sia una sua caratteristica consolidata. Le è bastato salire le scale di palazzo Chigi per capire che il Paese che governa non può fare a meno dell'Europa. Infine, sul fatto che il ministro degli Esteri francese sia stato imbeccato dal presidente Macron non ci sono ovviamente dubbi.
Si è forse ricostituito un trio – Germania-Francia-Italia – capace di alimentare il motore talvolta un po' ansimante dell'Unione europea? Scholz, Macron e Meloni non sono Adenauer, Schumann e De Gasperi, ma talvolta è la forza delle cose più che le azioni degli uomini a muovere la storia. Se ciò accadrà, vorrà dire che Putin, aggredendo l'Ucraina, sarà riuscito a rafforzare, invece che a disgregare, come voleva, l'Unione europea.
Ogni volta che si parla di un ulteriore allargamento a nuovi Stati membri c'è chi sostiene che si rischia un annacquamento e un indebolimento dell'Unione se prima non si procede all'approfondimento dell'integrazione. Forse, questo “gruppo di amici” potrà dimostrare che in un'Europa a geometrie differenziate i due processi possono invece andare paralleli e rafforzarsi reciprocamente.
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