Il 16 dicembre Paolo Prodi ci ha lasciati. Nonostante la malattia che lo ha tormentato a lungo e di cui quasi non si lamentava, ha lavorato fino all’ultimo. Ha pensato e ragionato di questo mondo complesso e in sofferta trasformazione, rimarcando nei fatti quanto il lavoro di un intellettuale debba essere, innanzitutto, pensiero sul mondo che si traduce in riflessioni e parole scritte. Lo ha fatto sulla base della sua lunga e solida competenza di studioso del mondo moderno, dell’Europa, dei rapporti tra Stati e Chiese; infine, della perdita di punti di riferimento. Spesso ci metteva a parte dei suoi pensieri, e questo è il lusso di cui si può vantare chi lavora al Mulino. Lo faceva con discrezione, un pezzo alla volta; ma anche così si capiva che il suo interrogarsi e cercare risposte non si sarebbe placato. Paolo è stato uno dei protagonisti del lavoro culturale del Mulino nelle sue diverse istituzioni – dall’Associazione, alla Biblioteca, all’editrice – a partire in particolare dal rapporto editoriale stretto alla metà degli anni Settanta fra il Mulino e l’Istituto storico italo-germanico di Trento, che egli aveva allora contribuito a fondare. La sua presenza ha marcato fortemente le scelte editoriali della nostra casa editrice. Soprattutto, ha dato al Mulino la quasi totalità dei suoi studi. Da Il sovrano pontefice, fondamentale ricerca sullo Stato pontificio, alla straordinaria trilogia Il sacramento del potere, sul giuramento politico, Una storia della giustizia e Settimo non rubare, che disegna la sua grandiosa visione dello sviluppo della storia europea dal Medioevo a oggi: una visione ripresa e sintetizzata con Il tramonto della rivoluzione e con Occidente senza utopie, scritto con Massimo Cacciari e uscito a settembre dello scorso anno. Dal 2012 aveva iniziato a raccogliere la sua produzione dispersa in una serie di volumi tematici che doveva concludersi nel 2017 con un ottavo volume dedicato alle proprie esperienze politiche. Durante la scorsa estate, in un incontro nella sua casa sulle colline reggiane, si è lasciato andare a rac
contare qualcosa di più di ciò che al telefono accennava soltanto. Con grande fatica stava lavorando a un intervento che gli era stato chiesto per un Convegno organizzato nella sua Trento dall’Istituto storico italo-germanico, in occasione dei 500 anni della Riforma luterana. Quel testo, in una prima versione e successivamente in quella definitiva, lo ha condiviso con noi. E a noi è subito parso importante come tutte le cose di Paolo. Allora non sapevamo che sarebbe stato il suo ultimo lavoro. Ora che è stampato su questo primo numero dell’anno, lo dedichiamo a tutti nostri lettori e a tutti coloro che lo hanno conosciuto e stimato.

 

[Sul "Mulino" n. 1/17 Paolo Prodi è ricordato anche da Paolo Pombeni, pp. 180-181]