Nel dibattito intorno alle “priorità” e ai tratti che il nuovo presidente della Repubblica successivo al (quasi) doppio mandato di Giorgio Napolitano avrebbe dovuto darsi diversi analisti, politologi e giuristi hanno insistito sul bisogno di una figura attenta alle percezioni (e alle tensioni e sofferenze) dell’opinione pubblica. Una presidenza “di prossimità”, in grado di sintonizzarsi con la cittadinanza al fine di contribuire alla riduzione del gap, in incessante allargamento, tra la “gente” e la politica. Il presidente dunque come custode della Costituzione e antidoto (o argine) all’antipolitica, con la certificazione dei sondaggi di opinione che indicano come il Quirinale rimanga, nel confronto con il turbolento sistema politico nazionale, un’istituzione che comunque “tiene” e risulta ammantata di un certo generale rispetto (assai meno soggetto al saliscendi degli umori di quanto avvenga per altri soggetti). Il neo presidente, a giudicare da alcuni dei suoi primi gesti, sembra avere colto appieno e fatti propri questi sentimenti e desideri dell'opinione pubblica – o, se si preferisce, questo spirito dei tempi. E nei suoi atti (e segnali) evidenzia quindi uno stile di comportamento da politico (e individuo) normale che palesa la volontà di muoversi nella direzione della ricucitura dello “strappo” e della lacerazione che gli atteggiamenti castali di ampie porzioni delle classi dirigenti hanno scavato nel sentire di molti cittadini-elettori.
Di qui, una sequenza di episodi significativi, nel corso dei quali hanno parlato le scelte (e i mezzi di trasporto). Vale a dire il ricorso a un'utilitaria per recarsi per la prima volta al Quirinale: una Fiat Panda grigia che, a differenza di un'altra Panda (ma questa volta rossa, con annesso affaire di multe non pagate), rimanda simbolicamente anche alla questione dell'occupazione e pone indirettamente un tema di dicotomia automobilistica e di soft power del presidente della Repubblica rispetto alla turbopolitica del Primo ministro (che arrivò invece a palazzo Chigi alla guida di una Smart). Quindi il volo di linea Alitalia, anziché quello di Stato, per recarsi a Palermo, la sua città d'origine, nel febbraio di quest'anno, accompagnato da un tweet della compagnia che recitava: «Un passeggero normale, una persona speciale». E, ancora, il viaggio da Roma a Firenze con un treno Frecciargento, e il tram preso dal capoluogo toscano a Scandicci.
Azioni che possono venire lette e interpretate secondo tre piani. Uno direttamente e immediatamente politico (e che, in prospettiva, potrebbe configurarsi alla stregua di una delle cifre distintive del suo mandato). Uno di strategia comunicativa, che ha fatto dei mezzi di trasporto (e di una serie di ulteriori occasioni) altrettanti mezzi di comunicazione. E, infine, uno per taluni versi pedagogico, nel quale si avvertono distintamente gli echi della militanza di Mattarella all'interno della sinistra Dc e di un certo pauperismo di lontana matrice dossettiana. Tutti e tre i piani configuranti una “narrazione della normalità” e una “pedagogia della sobrietà” che vogliono riportare il Colle a essere il pivot della vita pubblica italiana, trovando un registro di vicinanza e mandando segnali all'opinione pubblica in discontinuità con la visione della politica quale fortilizio di privilegi avvertiti come sempre più odiosi (anche a causa di una crisi economica “infinita”). Un presidente no social (media), dunque, che, in verità, ha comunicato fin da subito.
Anche se, dietro l'angolo si annida un problema (anzi, più di uno). Perché la narrativa del Paese normale dovrà comunque fare i conti con una macchina quirinalizia e un apparato di dipendenti che, come vari giornali e inchieste hanno dimostrato, generano costi elefantiaci. E dove la logica dell'esecrato privilegio si rivela, appunto, tutt'altro che sconosciuta.
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