Quella che leggerete qui di seguito è una riflessione – suddivisa in sette punti – sulla presentazione del libro del generale Roberto Vannacci Il mondo al contrario, tenutasi a Roma giovedì 14 settembre 2023. Una presentazione che offre spunti per tornare sui temi chiave della destra italiana, largamente presenti nel testo di Vannacci; sul ricorso a “kit” discorsivi testati in tutto l’Occidente, a partire dagli Stati Uniti; sui meccanismi con cui emergono imprenditori delle idee e catalizzatori di attenzione come Vannacci; su cosa può dire questa vicenda a chi non appartiene alla destra.
Primo: gli organizzatori. La serata è curata dal principale think tank dell’area di Fratelli d’Italia, “Nazione Futura”; uno degli interlocutori sul palco è il suo presidente Francesco Giubilei. Un elemento di interesse di Nazione Futura è quello di tessere i rapporti internazionali con gli altri think tank nazionalisti, come quelli radunati attorno al progetto americano National Conservatism. È Giubilei, infatti, a fornire alcune coordinate ideologiche di cornice alla serata, di cui daremo conto a breve. Non conosciamo, però, le ragioni del “realismo politico” dietro questo incontro: Vannacci è popolare, schierato su una linea narrativa molto simile a quella della Giorgia Meloni più combattiva e anti-sistema. La figura di Vannacci interessa anche la Lega e altri soggetti politici minori, mentre lo stesso generale non esclude un salto in politica (lo ha ribadito nel corso della serata): non sappiamo se vi sia in atto una competizione fra corteggiatori di Vannacci, o che grado di intensità essa abbia raggiunto. Immaginiamo però che, al momento, nel mercato politico-mediatico delle “celebrity” stare con Vannacci produca dividendi positivi (come farsi la foto con un influencer: una modalità che caratterizza tutte le forze politiche, nessuna esclusa). Da valutare e capire, però, il perché dell’assenza assoluta di “big” della destra politica.
La mancanza di verve della sala stride con la veemente emotività che Vannacci produce nei social network
Secondo: i luoghi. La presentazione si è tenuta nel Centro Congressi Cavour, una sala utilizzata da anni da tutte le forze politiche, sindacali e associative. È un luogo della politica romana che non possiede particolari significati o simbologie. Fa circa 100 posti seduti, riempiti tutti: nel pubblico diversi giornalisti, alcuni dei quali sono stati gli unici antagonisti di giornata di Vannacci. Il pubblico, ma è solo un’impressione e non un fatto acclarato, appare molto “romano”, il tipico parterre da appuntamento politico. Anziano, poco vivace, un po’ di “quadri” (in questo caso anche giovani), curiosi di passaggio e un paio di eccentrici. Chi scrive ha visto decine di parterre del genere, ma a sinistra. In quel caso avrebbe saputo riportare un’accurata geografia politica dei presenti, ma non questa volta (la presentazione durerà poco più di un’ora). La mancanza di verve della sala stride con la veemente emotività che Vannacci produce nei social network.
Terzo: vittimismo e libertà. Il vittimismo è una chiave tradizionale del discorso pubblico della destra italiana; lo era soprattutto del Movimento Sociale Italiano, con un risvolto eroico (reietti della politica, che combattono contro tutti e tutto). Il sociologo Marco Marzano, riferendosi a Giorgia Meloni, ha parlato di “strategia del vittimismo”. La moderatrice, la giornalista Claudia Svampa, ha concentrato le sue domande più sulla ricezione e il dibattito attorno al libro che sui contenuti del libro stesso. La sintesi su cui parevano concordare i relatori presenti è questa: il libro, come accade ad altre idee e pensatori non “politicamente corretti”, sono attaccati da giornalisti e minoranze culturali che hanno occupato i media e la cultura. Per questo il tema principale dell’incontro è divenuto quello della difesa della libertà di pensiero, ma anche quello della difesa della maggioranza silenziosa assediata da minoranze prevaricatrici (su questo torneremo nel quinto punto). Giubilei ha voluto più volte ribadire il nesso fra conservatorismo e libertà, citando due autori del suo pantheon intellettuale: Leo Longanesi e Roger Scruton (su Longanesi ha scritto un libro).
Quarto: l’egemonia (l’altra faccia del vittimismo). Giubilei ritorna molto frequentemente, come molti a destra, sul tema dell’egemonia. Ne parlava anche Mark Lilla in un articolo apparso sulla “New York Reviews of Books”, intervistando i giovani intellettuali conservatori francesi: diceva, più o meno, che non importa che abbiano letto Gramsci per davvero, lo citeranno con passione. È un tema anche americano: uno dei volumi consigliati dal progetto National Conservatism si intitola America’s Cultural Revolution: How The Radical Left Conquered Everything, di Christopher Rufo. Rufo, per esempio, è una figura centrale del "sistema Florida” del governatore Ron DeSantis: è uno dei sostenitori delle politiche disegnate per colpire la presunta egemonia dei liberal nel sistema scolastico e universitario dello Stato. Tradotto: censura di libri, limitazione delle iniziative di formazione che trattano i temi della “diversità, equità e inclusione”, licenziamento dei professori woke . Il tema del rovesciamento della presunta egemonia delle sinistre su istruzione, editoria e cultura è un elemento tipico della destra da decenni a diverse latitudini, e ha caratterizzato il dibattito pubblico di questi ultimi mesi. Visto da questa angolatura, Vannacci presenta un condensato di temi tipici della destra, un ariete inaspettato da utilizzare contro il muro dell’egemonia della sinistra.
Quinto: Maggioranza, senso comune e nostalgia. Le parole chiave del libro di Vannacci, ripetute durante la presentazione, sono “maggioranza” (rovesciabile in “dittatura della minoranza”) e senso comune (o meglio, “buon senso”: su senso comune e buon senso ha scritto di recente Anna Maria Lorusso). La nostalgia è un corollario degli altri due concetti. La maggioranza silenziosa, soggetto politico semi-mitologico inventato da Richard Nixon nel 1969, è il referente di Vannacci. Con lei Vannacci empatizza, e se ne vuole fare portavoce. Un esempio del “Vannacci pensiero” sintetizzato da noi (non è un virgolettato): nello show business gli omosessuali sono sovrarappresentati. Nessuno problema con gli omosessuali, ma perché la maggioranza deve subire la loro sovraesposizione e l’imposizione della loro cultura? La maggioranza deve ribellarsi. Per Vannacci ogni faccenda potrebbe essere risolta utilizzando il buon senso della maggioranza silenziosa (va detto che il corteggiamento dell’estrema destra per la maggioranza silenziosa, in Italia, è un fenomeno antico: Giorgio Almirante costruì la strategia della Destra Nazionale attorno a questa idea, già cinquant’anni fa). La battaglia per il primato del “buon senso” è il leitmotiv della battaglia pubblica di Vannacci. “Potere al senso comune”. Potremmo dire, forse, che la battaglia è piuttosto sul terreno di una rappresentazione egemonica del senso comune: vince chi fa credere agli altri di interpretare, per davvero, il senso comune? Last but not least… in Occidente questo senso comune si poggia con grande vigore sulla nostalgia. La nostalgia di un tempo in cui erano in ordine la società, i valori, le relazioni fra gruppi, le identità. Quando le minoranze, in sostanza, se ne stavano al posto loro (esiste anche una nostalgia occidentale “di sinistra”, ma non è questa l’occasione per parlarne).
La difesa dei “tradizionali” (la maggioranza) dagli assalti di minoranze alleate tra loro, agguerrite e con un disegno politico culturale in testa, rimbalza da una sponda all’altra dell’Atlantico
Sesto. Il Texas dentro Vannacci. L’ossessione anti-woke e per la libertà di parola negata alla maggioranza silenziosa è mutuata dagli Stati Uniti e dalla polemica della destra americana contro la “censura”, che ha spesso a che fare con l’oscuramento di account social che diffondono idee razziste, discorsi d'odio, incitazione alla violenza, antisemitismo… Una linea discorsiva fatta propria da Elon Musk, che la rilancia per trasformare la piattaforma di X. La parola negata per eccellenza è quella dell’ex presidente Trump, i cui account sono stati congelati dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Un altro tema trasversale alle destre occidentali – esiste una grancassa multinazionale che funziona – è quello del complottismo: il generale ha spiegato che i media, quando scrivono qualcosa, "non lo fanno mai per caso". Cioè che dietro ogni articolo o servizio tv c'è un disegno politico o imprenditoriale: lo dice spiegando di "averlo studiato" nelle scuole militari. Questo apparato identitario e nostalgico, al servizio della difesa degli italiani “tradizionali” (la maggioranza) dagli assalti di minoranze alleate tra loro, agguerrite e con un disegno politico culturale in testa, i richiami alla famiglia naturale… sono oggetti discorsivi che rimbalzano da una sponda all’altra dell’Atlantico: mentre il generale parlava a Roma, Giorgia Meloni era a Budapest al forum sulla demografia voluto da Orbán, dove pure era atteso l’ex vicepresidente americano Mike Pence. Nel libro di Rufo, Orbán e la sua democrazia illiberale sono da prendere a esempio (potendosi sdoppiare, saremmo voluti essere anche a Budapest).
Settimo: il caso Vannacci offre una morale per la sinistra? Lo spartito di Vannacci è lo stesso di tanti altri politici e opinionisti di destra: per ora funziona (da un po’ di anni, in realtà). La grande differenza fra destra e sinistra pare questa: la destra ha uno spartito, la sinistra no. Averlo è fondamentale, e la sinistra istituzionale non ne ha uno di carattere strategico da 15 anni, ovvero dalla fine della Terza Via e l’inizio delle crisi finanziaria globale. Nel mercato delle idee, oggi, vincono gli imprenditori svelti: il timing è decisivo, in un’epoca di bolle che bruciano in fretta; ma serve una cornice generale stabile nel tempo alla quale agganciarsi, come ha fatto più o meno consapevolmente Vannacci (che poi Vannacci sia una meteora o sia qui per restare, non ci interessa: importa quanto e come porti acqua al fiume del nazionalismo conservatore). A sinistra si contesta la bassa qualità di questi imprenditori, gli errori formali e gli orrori dottrinari, senza capire che non è questo il punto. Nelle guerre culturali – anche qui siamo in territorio americano: il riferimento è al sociologo James Davison Hunter, autore già trent’anni fa di Culture Wars: The Struggle To Define America – vale tutto, e un generale forse lo sa. In primo luogo valgono l’organizzazione, la logistica e la potenza di fuoco. Altri, sempre a sinistra, dipendono dai Vannacci: sono gli imprenditori del mercato dell’indignazione (con efficacia discutibile, ma hanno il loro pubblico), che non producono però pensiero duraturo e organizzazione della cultura, né tanto meno un rapporto strategico fra politica e cultura.
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