Ogni nazione ha non solo i suoi luoghi della memoria ma anche le sue date simbolo, i momenti nei quali si ricordano gli eventi che hanno marcato la vita del Paese. Impossibile pensare alla Francia senza ricordare il 14 luglio, data evocativa della Rivoluzione, oppure agli Stati Uniti dimenticando il giorno del Ringraziamento. Una comunità che si raccoglie e si riconosce unanimemente in quei momenti esprime una forte coesione nazionale. Anche grazie all’enfasi posta in quelle occasioni francesi e americani “sanno” perché stanno insieme, sanno da quali rami discendono. Sanno anche che cosa li ha divisi nel corso del tempo (le lotte politiche nei cambi di regime tra francesi, la guerra civile e la questione razziale tra gli americani), ma fanno prevalere gli elementi di unità e di continuità. E per rinsaldare questo sentimento di appartenenza comune servono le celebrazioni solenni dei momenti alti della propria storia.

Il nostro Paese è giovane, è un “late comer” in rapporto agli altri, e proprio per questo dovrebbe aver grande cura degli aspetti simbolici legati alla sua breve storia nazionale. L’allucinante dibattito sull’opportunità o meno di celebrare il centocinquantesimo anno dell’unità con una festività ha invece dimostrato il contrario. Poi, invece e per fortuna, le celebrazioni, anche al di là della ricorrenza del 17 di marzo, sono state ben più calde e partecipate di quanto non temessero tanti visi pallidi. E’ emerso un desiderio di identificazione di proporzioni inaspettate, che ha trovato mille rivoli di espressione, senza peraltro incontrare un interprete privilegiato.Ora la proposta avanzata dal governo di eliminare le tre festività civili del 25 aprile del primo maggio e del 2 giugno, tanto per risparmiare qualche spicciolo, si inserisce in questo atteggiamento di sottovalutazione dei fattori simbolici e identificativi. Ma c’è forse qualcosa di più di una pochezza politico-culturale da parte della classe politica del governo Berlusconi. C’è il sospetto che la destra voglia sfruttare l’emergenza per assestare un colpo a quelle date simbolo della storia repubblicana che non le sono mai piaciute per nulla.

La celebrazione della liberazione dal nazi-fascismo, la festa (rossa) dei lavoratori e la nascita della Repubblica antifascista sono tutti momenti che contraddicono nel fondo le sensibilità e i riferimenti valoriali della destra. Non è un caso che il primo ministro Silvio Berlusconi non abbia mai partecipato alle manifestazioni del 25 aprile (salvo nel 2009) e del primo maggio. Alla destra non par vero di riuscire a depotenziare il momento evocativo di queste ricorrenze in maniera quasi indolore con la scusa dell’emergenza economica. Ma c’è di peggio: non siamo solo di fronte a una meschina vendetta ideologica bensì al rischio di trovarci in un Paese lobotomizzato della propria memoria storica. Un Paese senza un passato civile degno di essere ricordato.