Sono passati ormai due anni dall’inizio della pandemia e il digitale, nelle sue numerose accezioni, è entrato in modo pervasivo nella gestione dei musei. È infatti ormai prassi consolidata poter accedere a un tour virtuale, fruire di laboratori, di attività didattiche o di podcast da remoto. Questa tendenza ci viene anche confermata dal Report 2020 dell'Istat, che rileva come il 73% dei musei abbia promosso attività di fruizione online nel 2020. Oltre alla fruizione, il digitale ha influenzato fortemente anche le attività di conservazione del patrimonio, come visibile anche dalla recente istituzione della Digital Library, con l’obiettivo di coordinare e promuovere i programmi di digitalizzazione del patrimonio culturale del ministero della Cultura.
In questo contesto, e anche alla luce dei fondi legati al Pnrr nel settore cultura, come evolverà la relazione tra musei e digitale? Per identificare possibili evoluzioni, è necessaria una riflessione su che cosa abbiamo imparato e che cosa si può ancora fare. La pandemia ha messo in luce almeno tre aspetti, che tenteremo qui di tratteggiare.
Il digitale può rappresentare un’opportunità per attrarre nuovi pubblici e offrire modalità di fruizione alternative. In molti contesti è stato sottolineato come la fruizione di un’opera possa avvenire solo in presenza, contemplando l’artefatto con i cinque sensi. Ancora in periodo pre-pandemia ricordo il commento di una direttrice di museo che mi disse: “Continuo a non capire perché moltissimi visitatori vengano al museo per passare tutto il tempo con il telefonino a fare foto. Il telefonino si frappone tra noi stessi e l’opera, rovinando la relazione individuo-opera d’arte”. L’importanza di fruire l’arte dal vivo è indiscussa, ma questi due anni di accessi contingentati e chiusure hanno evidenziato come sia possibile fruire di un’opera anche in modo diverso: a distanza, per un periodo breve ed eventualmente in un contesto interattivo. Questa fruizione digitale può rappresentare un’ulteriore leva da parte dei musei per attrarre nuovi pubblici, come ad esempio bambini e giovani che sono spesso restii alle visite museali, e per mantenere viva la relazione con pubblici fidelizzati, offrendo attività sempre nuove e integrative rispetto alla visita in loco. Quindi, il digitale non deve essere visto solo come sostituto della visita in loco, ma anche come strumento per attrarre nuovi pubblici e per integrare l’esperienza on site.
Questi due anni di accessi contingentati e chiusure hanno evidenziato come sia possibile fruire di un’opera d’arte anche a distanza, per un periodo breve e in un contesto interattivo
I progetti di innovazione digitale non si improvvisano, ma vanno pianificati e monitorati con profili professionali adeguati. Nell’emergenza e nel lockdown della primavera 2020 molti direttori di museo, intervistati per attività di ricerca, hanno sottolineato come abbiano spesso “improvvisato dalla sera alla mattina” nuovi formati e nuove offerte digitali per restare in contatto con il pubblico in un momento in cui i musei erano chiusi e la crisi sanitaria era nel suo picco massimo. Se un approccio sperimentale può funzionare in un momento di emergenza, a regime i progetti di innovazione digitale (dal lancio di un podcast, al lancio di un nuovo formato di corsi online…) necessitano di pianificazione e monitoraggio al pari di qualunque altro progetto. In altri termini, occorre una strategia di gestione dell’innovazione digitale. Questo sta emergendo come un aspetto sempre più rilevante, come dimostrano alcuni bandi (cito il bando Switch, promosso dalla Compagnia di San Paolo, a titolo di esempio) che richiedono un piano strategico per l’innovazione digitale come prerequisito per accedere ai finanziamenti. Legato a questo aspetto, si inserisce il tema delle competenze. Lavorare sul digitale richiede profili specifici (digital storyteller, game designer, digital curator ecc.) che spesso mancano nelle istituzioni, ma che sono necessari per gestire in modo strutturato il lavoro. Quindi, il digitale può rappresentare una leva di sviluppo importante, ma deve essere affrontato in modo strutturato, con una strategia e profili professionali adeguati.
La fruizione digitale non può esistere se non si lavora prima alla digitalizzazione del patrimonio. Per poter offrire contenuti digitali a supporto di nuove esperienze di fruizione (dal tour virtuale all’app), la disponibilità del patrimonio digitalizzato diventa condizione necessaria. L’ultima survey condotta dall’Osservatorio Innovazione digitale nei beni e attività culturali ha evidenziato come la pandemia abbia accelerato notevolmente il bisogno di digitalizzare il patrimonio: sono infatti aumentate le istituzioni che hanno reso disponibile la collezione online (dal 40% nel 2020 al 70% nel 2021) e per il 24% dei musei la digitalizzazione della collezione è l’attività prioritaria nei prossimi due anni. Il dibattito sull’approccio alla digitalizzazione del patrimonio è ancora aperto, con particolare riferimento alla possibilità di ri-uso del contenuto digitalizzato e al trade-off tra costi e benefici della digitalizzazione in funzione degli strumenti utilizzati. Da un lato, la più alta risoluzione nella digitalizzazione del patrimonio assolverebbe ad attività sia di tutela sia di fruizione, ma dall’altra costi e tempi possono non essere sostenibili. In questo contesto si inserisce il ruolo della Digital Library del Mic per guidare e fornire indicazioni comuni sull’approccio alla digitalizzazione del patrimonio, nell'ottica di rendere disponibili le informazioni non solo per la sua tutela, ma anche per la sua valorizzazione.
La digitalizzazione del patrimonio artistico assolverebbe ad attività sia di tutela sia di fruizione, ma costi e tempi potrebbero non essere facilmente sostenibili
Quali prospettive future dunque per musei e digitale? Sarà davvero l’inizio di una nuova era? Oggi vediamo la convergenza di tre aspetti che non si sono mai presentati contemporaneamente prima d’ora: la “scoperta del digitale” anche da parte degli scettici, che in questi due anni hanno “toccato con mano” le opportunità che gli strumenti digitali possono offrire; un continuo “fermento” tecnologico che potrebbe aprire ad ulteriori nuovi utilizzi del digitale; basti pensare alla tecnologia blockchain nel mercato dell’arte e l’hype che il settore sta vivendo in questo momento; il Pnrr, che delinea una strategia di sviluppo di lungo periodo, congiuntamente allo stanziamento di risorse finanziarie senza eguali.
Si tratta dunque di un’occasione unica e da non perdere per il settore culturale e per l’intero Paese affinché il patrimonio culturale possa rappresentare, come indicato dal Presidente Mattarella nel suo discorso in occasione del giuramento per il suo secondo mandato, “una risorsa capace di generare conoscenza, accrescimento morale e un fattore di sviluppo economico”.
Riproduzione riservata