Nel dopo europee, ci si sofferma sull’impatto del ciclone “tranquillo” Renzi sulla politica italiana dopo un decennio pieno di amarezze e di nulla di fatto. Ha raccolto oltre il 40% dei consensi per due semplici motivi. Il primo è che ha “praticato” e non “promesso” un cambio di classe dirigente: i tele-elettori italiani, anche nelle periferie, se ne sono accorti guardando Maria Elena Boschi, Marianna Madia e tutte le altre e gli altri giovani trenta-quarantenni che hanno invaso il vertice del Partito democratico e, da lì, il governo nazionale e locale. Un secondo motivo è che Renzi non si è proposto come un persuasore (al pari di Berlusconi e Grillo) pur avendone la dote, ma come un decisore, un leader pronto ad assumersi la responsabilità di decisioni riformiste, da sempre tormentate in Italia. Ha messo in campo la speranza non solo a parole, ma ha cercato di praticare i suoi obiettivi, come la rottamazione della vecchia classe dirigente, considerata dall’ex sindaco il presupposto per cambiare marcia. Ha così assunto il ruolo non solo di diga al grillismo, ma ne ha svalutato la rituale protesta arrabbiata contro la casta: la speranza contro la paura, la proposta contro la protesta. Il risultato elettorale europeo è un trampolino di lancio a una stagione riformista domestica (dalle riforme istituzionali e della PA, al mercato del lavoro ecc.), a dispetto di tutte le resistenze da vincere. Renzi ha l’opportunità di aprire un nuovo ciclo politico e di produrre una svolta del mood sociale finora depresso e sconsolato. Alla luce degli oltre 11 milioni e duecentomila voti raccolti, persino l’astensionismo non fa più paura, seppure in aumento rispetto alle europee del 2009 (dal 37% al 42%): è visto come un’inevitabile convergenza con l’affluenza percentuale media degli altri Paesi, è una laica presa d’atto della fine di quella smisurata voglia di votare che prese le prime generazioni repubblicane per le quali il voto esteso a tutti (e non solo a chi aveva la licenza elementare come ancora accadeva, a esempio, negli anni Venti) era la novità.
Con alle spalle un Paese pronto a compiere una capriola emotiva e umorale e con il prestigio del suo risultato elettorale, Renzi affronta anche il secondo mandato che lo attende in Europa dove, come sottolinea Marc Lazar, è scoppiata la Renzimania, soprattutto in Francia. A luglio, scatterà il semestre italiano e Renzi sarà presidente del Consiglio dell’Unione europea, oltre che segretario del secondo partito del Parlamento europeo per numero di seggi, dopo la Cdu di Angela Mekel (e primo tra i partiti della famiglia socialista europea). Sarà un passo importante per misurarsi con la superclass dei leader politici europei. Per l’Italia c’è l’opportunità di dare un’idea diversa e migliore di sé, d’incidere in parte sulla programmazione 2020 o sulla spinosa vicenda dei flussi migratori a sud o di “battezzare” il maxi progetto di Macroregione Adriatico ionica ecc.
Sarà soprattutto interessante per gli italiani vedere se il ciclone tranquillo Renzi riuscirà a contagiare l’Europa, a lasciare il suo imprinting di leader europeo. Non sarà facile, in mezzo a tanto caos trasformativo evidenziato dalle elezioni europee in paesi come Francia e Inghilterra e in piena fioritura di tanti antieuropeismi, come quelli nordeuropei che hanno come incubo i bilanci degli stati Eurosud e quelli mediterranei, rancorosi per l’ingiustizia sociale provocata dal rigorismo europeo. Renzi e l’Italia hanno perciò bisogno che i nostri europarlamentari prendano l’Europa “sul serio” e cambino gli stili fin qui adottati dai predecessori che più volte sono stati bersaglio dei rimbrotti di Romano Prodi a causa del loro disinvolto assenteismo, delle loro eccessive sostituzioni in corso di legislatura, in odore di pantouflage, e, infine, per il loro orientamento “particolaristico” spesso in urto con l’appartenenza politica. Oggi, al contrario, Renzi chiede di portare più politica nel cuore parlamentare dell’Europa per compire alcune scelte comuni, come quella riguardante la presidenza della Commissione, che rischia di deragliare dalle procedure di nomina previste, come ha rimarcato Pier Virgilio Dastoli. Sono in molti in Europa a chiedere qualche progresso riguardo le nomine delle massime autorità europee in direzione di una loro legittimazione elettiva. Per quanto nessuno dopo le elezioni possa farsi illusioni sugli Stati Uniti d’Europa è possibile pensare di mettere a segno qualche progresso, evitando la retromarcia per lo spavento prodotto dai successi antieuropeisti. L’Europa per convincere appare ora costretta a fare un passo concreto in avanti, in direzione di un rilancio dell’unione politica.
A sorpresa, potrebbe essere la prima grande novità di questo nuovo secolo globale.
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