Questa estate in Italia, in Europa, nel mondo intero gli incendi boschivi sono aumentati in misura ancora maggiore rispetto agli ultimi anni, quando già si erano raggiunti livelli preoccupanti. Solo in Europa, dal 2000 al 2017, il fuoco ha distrutto 8,5 milioni di ettari (poco meno di mezzo milione di ettari ogni anno) e gli incendi boschivi hanno causato la perdita di più di 600 vite umane, tra addetti allo spegnimento e civili, oltre alla perdita economica di più di 54 miliardi di euro.
Sulla stampa e sui social abbiamo letto articoli con appelli, accuse, lamentele, suggerimenti da parte di giornalisti, politici di ogni livello, studiosi del settore, semplici cittadini, agricoltori che hanno visto distrutte le loro aziende, persone che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni, turisti coinvolti in eventi pericolosi, vigili del fuoco, Protezione civile, volontari. Fra le varie affermazioni riportate, alcune fanno riferimento al problema dei cambiamenti climatici, altre all’abbandono del territorio agricolo e forestale e alla carenza o all’assenza di corrette attività selvicolturali; altre ancora allo smembramento del Corpo forestale dello Stato o alle carenze organizzative di alcune regioni, all’inadeguatezza dei vigili del fuoco nell’affrontare gli incendi boschivi, all’insufficienza di mezzi aerei o alla loro particolare gestione «privatistica». Si torna di frequente sulla vecchia questione della speculazione edilizia, sulle responsabilità attribuite a operai forestali o volontari, oppure a possibili interessi di gestori di centrali a biomasse o altre forme di energie alternative. In diverse occasioni si parla di «piromani», senza ricorrere piuttosto a termini più appropriati come «criminali» o «delinquenti». Spesso, infatti, non viene attribuita la corretta importanza alle varie cause colpose degli inneschi, dovuti magari a comportamenti irresponsabili di chi in realtà non aveva alcuna intenzione di provocare incendi boschivi. D’altra parte, si invocano persino inasprimenti delle pene per gli incendiari fino ad auspicare pene di morte, facendo riferimento a norme napoleoniche.
Un’analisi di queste affermazioni sarebbe opportuna e doverosa, in particolar modo riguardo ai dati del numero degli eventi e delle effettive superfici boscate e non percorse dal fuoco, dei danni prodotti, delle indagini effettuate sulle cause, dei responsabili individuati e denunciati. Tutti dati che naturalmente devono essere presentati sia a livello nazionale sia su base regionale e locale per poter condurre valutazioni approfondite e corrette. Tutto questo accadrà? Possiamo essere certi di avere queste notizie in tempi brevi e che sia possibile analizzare tutte le problematiche per tentare di porre qualche rimedio prima della prossima estate? Troppe volte abbiamo visto che, al termine dell’estate o ancor prima, tutto passa nel cosiddetto «dimenticatoio», salvo tornare di attualità la stagione successiva.
Vorrei ora provare a illustrare, nel modo più semplice possibile, le tematiche connesse allo spegnimento degli incendi partendo dal presupposto che tutti gli incendi boschivi prima o poi vengono spenti. Può accadere che condizioni favorevoli consentano a una squadra Aib (Anti-incendio boschivo) di giungere tempestivamente sul luogo in fiamme, e di effettuare un'efficace e risolutiva attività di repressione, limitando così la superficie bruciata a qualche migliaio di metri quadri. Può invece verificarsi che situazioni negative – condizioni meteo predisponenti gli incendi, ritardi, errori di valutazione – facciano sì che l’evento, in tempi più o meno brevi, si sviluppi in modo incontrollabile fino a divenire un grande incendio boschivo con gravi distruzioni di aree boscate; ciò anche a causa della continuità del combustibile, delle caratteristiche dello stesso, delle condizioni meteo, dell’orografia o dell’assenza di vie di accesso.
Queste situazioni si verificano sempre e possono portare a risultati e valutazioni diametralmente opposti sulla qualità e sull'efficacia dell’organizzazione antincendio e sulle scelte politiche e tecniche che ciascuna regione porrà in atto per il futuro. Non possiamo comunque attribuire al caso i risultati di una struttura Aib e occorre perseguire tutte le molteplici azioni per un’organizzazione efficiente, efficace e completa, pur nella sua complessità.
Devono essere previsti idonei piani regionali e locali che tengano conto prioritariamente di attività di prevenzione selvicolturale e infrastrutturale, e che prevedano un’organizzazione puntuale sul territorio
Devono quindi essere previsti idonei piani regionali e locali che tengano conto prioritariamente di attività di prevenzione selvicolturale e infrastrutturale, e che prevedano un’organizzazione puntuale sul territorio impiegando personale competente, formato e motivato, supportato da idonei mezzi e attrezzature per le attività di spegnimento. Il tutto deve essere regolamentato da puntuali procedure operative.
In Italia le regioni, competenti per la lotta attiva agli incendi boschivi (L. 353/2000), con le proprie strutture di Protezione civile e con le proprie agenzie forestali (o con gli enti delegati per la forestazione), si sono organizzate in modo diverso fra loro. In alcuni casi delegando parzialmente o totalmente la lotta attiva, con specifiche convenzioni onerose, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in altri casi privilegiando l’organizzazione regionale e facendo affidamento sugli operai forestali e sulle associazioni di volontariato Aib. È innegabile, comunque, che per una funzionale organizzazione antincendi risultano indispensabili una completa conoscenza degli ambienti forestali e una specifica preparazione su tutte le diverse tematiche inerenti agli incendi boschivi, compresi i dettagli sugli interventi con la massima sollecitudine e con risorse adeguate.
Il coordinamento e la direzione di questa complessa organizzazione devono essere affidati a una Sala operativa (Soup), che si assume tutte le responsabilità delle decisioni da attuare con tempestività ed efficacia, e a dei Direttori delle operazioni di spegnimento (Dos), altamente qualificati e capaci di valutare le situazioni e porre in atto tutte quelle azioni volte al raggiungimento degli obiettivi (ridurre i danni, operare in sicurezza, ottimizzare le risorse disponibili).
Il Dos deve essere in grado di definire il Piano di attacco, con l’obiettivo di realizzare tattiche e manovre finalizzate ad anticipare il comportamento dell’incendio. Il compito del Dos prevede in particolare l’individuazione delle caratteristiche ambientali (climatiche, vegetazionali, topografiche) che influiscono sull’incendio; l’identificazione del fattore principale di propagazione (incendio di vento, topografico, convettivo); la divisione dell’incendio in settori; la definizione dell’allineamento delle forze (vento, pendenza, esposizione); l’analisi delle previsioni di comportamento del fuoco (superfici potenziali, velocità di propagazione, finestre di attuazione); e la definizione per ciascun settore della capacità di estinzione (dentro/fuori), in base al comportamento del fuoco e alle risorse a disposizione.
Il Dos deve inoltre essere certo di dirigere un personale qualificato, formato per recepire e porre in atto tutte le direttive da lui impartite, nel rispetto delle procedure regionali. Priorità del Dos deve essere la corretta gestione dei mezzi aerei, che deve coordinarsi con i piloti al fine di rendere più efficace possibile la loro azione, evitando impieghi inadeguati e soprattutto non permettendo un'attività aerea scollegata da un idoneo Piano di attacco.
Negli ultimi anni gli incendi stanno modificando il loro comportamento, diventando più grandi e più intensi/veloci. La difficoltà di far fronte a questi fenomeni è aumentata in modo esponenziale e sempre più spesso si verificano «grandi incendi» nei quali anche l’intervento dei più potenti mezzi aerei non riesce a ottenere risultati accettabili. In gergo tecnico si parla di «incendi fuori della capacità di estinzione». Il Dos deve quindi prendere atto che talvolta, con determinate caratteristiche dell’incendio e con le risorse a disposizione, non è opportuno effettuare l’attività di spegnimento nelle zone dove l’incendio si propaga con maggiore intensità, in quanto si avrebbero limitati o nulli risultati e non si opererebbe in sicurezza. In questi casi è meglio fare operare personale e mezzi a disposizione in parti dell’incendio più semplici, dove possono essere previsti risultati positivi, e attendere che si verifichino condizioni più favorevoli per interventi risolutivi nelle parti dell’incendio dove prima era impossibile intervenire.
Nei tavoli tecnici si dice ormai da tempo che gli incendi devono essere spenti «venti anni prima» con una gestione del territorio, cioè con una prevenzione strutturale che miri a gestire i boschi pericolosi e le fasce di interfaccia bosco/urbano con l’obiettivo di diminuire pericolo e rischio. Solo attraverso un approccio integrato alla gestione di questo rischio si potrà cercare di affrontare il problema e mitigarlo. Un approccio interventistico emergenziale, che risponde al problema quando si presenta, è quanto di più sbagliato si possa fare, soprattutto osservando e ascoltando quello che le previsioni climatiche ci prospettano per i prossimi decenni.
Sarebbe necessaria una disposizione a livello nazionale che valga tanto per i carabinieri forestali quanto per i corpi forestali regionali, redatta da esperti che conoscono bene anche ciò che è previsto in altre nazioni
Infine, è opportuno prendere attentamente in considerazione le cause che determinano gli incendi boschivi. In questa sede non entriamo nello specifico dei dati relativi alle cause; ma ritengo comunque necessario puntualizzare alcuni aspetti. Innanzitutto, è doveroso precisare che non esiste una norma/direttiva che fornisca le necessarie regole e disposizioni per la classificazione degli eventi relativamente alle cause. Ciò determina la possibilità che le attribuzioni delle cause talvolta avvengano in modo molto soggettivo.
A mio parere, sarebbe necessaria una disposizione a livello nazionale che valga tanto per i carabinieri forestali quanto per i corpi forestali regionali. La redazione di questa norma dovrebbe vedere la partecipazione di esperti che hanno trattato la materia in molte pubblicazioni e conoscono bene anche quanto previsto in altre nazioni. Per effettuare precise valutazioni sui dati rilevati occorrerebbe poi che questi non vengano riportati solo a livello nazionale o regionale, ma anche a livello provinciale, in quanto spesso si osservano comportamenti e fatti che trovano riscontri molto localizzati. Sarebbe necessaria poi un’approfondita analisi delle motivazioni che hanno portato alle varie cause degli eventi, di origine sia colposa sia dolosa. La conoscenza di tutti questi fattori può risultare di estremo interesse per poter avere una visione più completa del fenomeno e per poter porre in atto tutte le necessarie azioni volte al loro contrasto.
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