L’Accordo sul Clima di Parigi del 12 dicembre 2015 va considerato di portata “storica” non solo perché “universale”, in quanto approvato da quasi tutti i Paesi della Terra (195 Stati) ma perché questi, condividendo il senso dell’urgenza di fermare il disastro ecologico, hanno riconosciuto (sebbene con almeno vent’anni di colpevole ritardo) che il riscaldamento globale è un fenomeno di dimensioni mondiali e quindi va affrontato “insieme” da tutti. L’Accordo ha inoltre riconosciuto che è necessario il rapido superamento dell’era dell’energia primaria prodotta mediante l’utilizzo di carburanti fossili (carbone, petrolio, gas naturale) in quanto esso comporta rischi incalcolabili, ad opera dell’uomo, per la sopravvivenza stessa del genere umano.

Tanto sono impegnativi e ambiziosi gli obiettivi che l’Accordo si prefigge quanto deboli e scarsamente credibili i mezzi e gli strumenti che esso propone per conseguirli. L’Accordo prevede di contenere l’aumento della temperatura media del Pianeta nel secolo in corso ben al di sotto della soglia di 2° C. rispetto all’era preindustriale, perseguendo l’obiettivo del limite di 1,5° C., in linea con le istanze dell’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change) e con le ultime ricerche scientifiche (tra cui quelle del meteorologo James Hansen).

Il rispetto di questo limite richiede la completa decarbonizzazione dell’economia mondiale ben prima del 2050, epoca che è stata indicata dall’Onu, prima della Conferenza di Parigi, come coerente con il limite dei 2° C., ora, giustamente, considerato eccessivamente elevato.

Il regime energetico adottato nelle varie epoche storiche ha sempre influito in misura determinante sul modo di produrre, sulla struttura dell’economia e della stessa società. Pertanto il tendenziale superamento dell’era dei carburanti fossili rappresenta una vera rivoluzione perché comporta la transizione verso un paradigma energetico completamente diverso dall’attuale: quello basato sul risparmio energetico, l’uso razionale dell’energia e l’utilizzo delle fonti rinnovabili per la produzione di energia (in particolare la fonte solare e quella eolica).

Nella seconda parte della rivoluzione industriale la scoperta dell’immenso tesoro di combustibili fossili depositati nelle viscere della terra (carbone, petrolio e gas naturale), sfruttato per mezzo della macchina a vapore e del motore a combustione interna, ha fornito una quantità di energia apparentemente illimitata a cui attingere, appropriandosi delle risorse naturali della Terra. Il ritmo, la velocità e il flusso delle attività economiche, resi possibili dallo sfruttamento dei combustibili fossili, furono stupefacenti.

La produzione agricola esplose e così aumentò la produttività dell’attività umana, con conseguente benessere economico che comportò la massiccia crescita demografica (da un miliardo di persone agli attuali 7 miliardi) e la concentrazione degli insediamenti umani in centri urbani complessi e densamente popolati. Il nuovo paradigma energetico basato su risparmio energetico, uso razionale dell’energia e fonti rinnovabili, non comporterà trasformazioni meno rilevanti.

Le abitazioni degli uomini andranno costruite con criteri ben diversi dagli attuali, adottando sistemi tali da trasformare gli edifici in costruzioni energeticamente passive; le città andranno radicalmente riprogettate fondando il trasporto su mezzi pubblici ad emissioni zero; le centrali di produzione dell’energia elettrica, solare ed eolica, saranno di dimensioni contenute, idoneamente disseminate sul territorio, utilizzando pannelli fotovoltaici e celle a combustibile  preferibilmente ubicati sui tetti delle abitazioni o degli opifici industriali o commerciali; l’energia elettrica così prodotta sarà distribuita secondo la tecnologia inter-grid mediante l’utilizzo dei sistemi informatici e di internet; l’alimentazione dei veicoli elettrici avverrà mediante reti di distribuzione capillare, in stazioni di servizio corredate da colonnine plug-in e dotate di celle a combustibile per produrre e distribuire idrogeno in loco.

Ciò richiederà un forte impegno tecnologico e la necessità di creare nuova occupazione nel settore della green economy stimolando la crescita economica nei Paesi sviluppati ed in via di sviluppo; ed inducendo in quelli sottosviluppati uno sviluppo endogeno basato sulla disponibilità, soprattutto in quelli “solarmente ricchi” siti nel sud del mondo, di energia prodotta in loco a prezzi contenuti, utilizzando l’inesauribile e gratuita fonte solare.

L’Accordo sul Clima di Parigi nel suo significato più profondo implica tutto questo ed evidenzia le condizioni necessarie per contrastare il riscaldamento globale prima che sia troppo tardi.

 

[Questo testo è la parte iniziale del Policy Paper scaricabile in versione integrale dal sito del Centro Studi sul Federalismo​ a questo link]