Quel 2 agosto di trentatré anni fa rientravo con la mia famiglia da un soggiorno in Valtellina. Per la prima volta, e quasi per caso, avevamo anticipato le ferie nel mese di luglio. Secondo i programmi, quel giorno ci saremmo dovuti fermare a Bologna per dare un saluto ai nostri amici Pedrazzi, che allora abitavano in via dell’Osservanza, salvo poi proseguire il giorno dopo nel viaggio di ritorno sino a Bari.
Eravamo molto preoccupati per il traffico: era il primo «ponte» di agosto, con il sovrapporsi di rientri e di partenze. Così, partiti da Mantova alle prime luci del mattino e dopo avere avuto conferma che la situazione del traffico autostradale era davvero difficile, decidemmo di rivolgerci alla stazione centrale di Bologna con la speranza di poter ancora prenotare il servizio «treno + auto». In questo modo avremmo evitato il disagio di un ulteriore lungo tragitto in automobile.
Emergeva in tutta la sua criminale e allucinante realtà l’ipotesi della bomba e dell’attentato, mentre il numero delle vittime cresceva A conferma dei nostri timori, arrivati verso le 8 e 30 a Modena, un ingorgo ci costrinse a procedere molto lentamente verso Bologna, dove arrivammo solo verso le 10 del mattino. Giunti alle porte della città, ci dirigemmo immediatamente verso la stazione, ma a un certo punto fummo deviati da un posto di blocco: non si poteva proseguire a causa di un non meglio precisato «incidente» nell’area della stazione (se non ricordo male ci parlarono di una fuga di gas nel ristorante). Vista la situazione, non ci rimase che andare in via dell’Osservanza, riproponendoci di tornare successivamente alla stazione una volta risolto l’«incidente». Solo a casa dei nostri amici cominciammo ad avere notizie più precise. Emergeva in tutta la sua criminale e allucinante realtà l’ipotesi della bomba e dell’attentato, mentre il numero delle vittime cresceva (e solo nei giorni successivi venni tristemente a scoprire che tra i diversi baresi periti nella strage – Bologna è sempre stato uno snodo ferroviario molto frequentato d’estate da chi va in montagna – c’era anche la moglie di un mio amico e collega di facoltà, mentre le loro due figliole erano rimaste gravemente ferite).
Trascorremmo l’intera giornata seguendo i servizi televisivi e le informazioni che si succedevano una dietro l’altra. Continuammo, come era normale con Gigi Pedrazzi, a discutere anche d’altro: la situazione politica italiana, la fine della solidarietà nazionale e delle speranze ad essa affidate, la nuova stagione della Chiesa e il nuovo pontificato di Giovanni Paolo II. A tarda sera trovammo posto in un albergo vicino, ma era più che altro un modo per trovare un punto di appoggio: infatti nessuno chiuse occhio. Dopo qualche ora, prima dell’alba, ripartimmo verso Bari.
Furono momenti che resteranno per sempre indelebili nella memoria e che, ancora oggi, sono singolarmente vivi anche nel ricordo di nostro figlio, che pure allora aveva solo due anni.
Quella che doveva essere una sosta di condivisione e di amicizia che suggellava un bel periodo di vacanza era divenuta una giornata scandita da sentimenti diversi: lo sbigottimento e l’orrore per l’accaduto, il pensiero per le vittime e per i loro familiari, la consapevolezza della fragilità della nostra esperienza democratica e della necessità di difenderla e rinnovarla continuamente, l’incubo suscitato dalla verifica che il passato tragico delle stragi si riaffermava sempre presente. Lo sbigottimento e l’orrore per l’accaduto, il pensiero per le vittime e per i loro familiari, la consapevolezza della fragilità della nostra esperienza democratica e della necessità di difenderla e rinnovarla continuamente
E, sullo sfondo, il mistero e l’inquietudine per quell’ingorgo autostradale che ci aveva impedito di essere alla stazione di Bologna poco dopo le 10, forse proprio alle 10 e 25.
Riproduzione riservata