Con l’istituzione nel 1992 della cittadinanza dell’Unione europea si è perseguito un obiettivo politico dal valore fortemente simbolico ed evocativo di un percorso costituzionale: a distanza di trent’anni, l’intento politico è solo in parte realizzato, mentre risultati assai rilevanti sono stati raggiunti riguardo al riconoscimento di diritti di cittadinanza.

Quando con il Trattato di Maastricht del 1992 si sono gettate le basi per l’adozione della moneta unica e si sono rafforzate le condizioni di realizzazione del mercato interno, l’istituzione della cittadinanza dell’Unione è apparsa come il segnale della volontà politica degli Stati membri di riconoscere al cittadino un ruolo centrale nella costruzione europea: una sorta di contrappeso ai risultati che ancora vedevano la Comunità – e da quel momento in poi l’Unione – saldamente ancorata all’obiettivo del mercato comune e agli aspetti economici del processo di integrazione.

Questa visione politica della cittadinanza è stata più recentemente ribadita dalla Carta dei diritti fondamentali (resa vincolante nel 2009 con il Trattato di Lisbona) ove si legge che l’Unione «pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione».

Certamente il termine “cittadinanza” vuole dare evidenza ad un legame fortemente simbolico tra i cittadini e l’Unione, ricalcando il vincolo che è proprio della cittadinanza nazionale. L’utilizzo di una terminologia di natura costituzionale non deve essere sottovalutato in quanto esprime il consenso che si era realizzato tra i governi degli (allora) Stati membri: si riconosceva, in effetti, uno status che poteva apparire non estraneo ad una futura unione politica europea o finanche ad un’evoluzione di tipo federale. L’istituzione della cittadinanza europea non ha significato, però, l’attribuzione all’Unione del potere di stabilire i criteri in base ai quali tale cittadinanza è conferita. Essa è infatti riconosciuta a tutti coloro che sono cittadini di uno Stato membro ed ha, perciò, un carattere complementare della cittadinanza nazionale e derivato da quest’ultima.

Resta quindi agli Stati la competenza a definire chi è proprio cittadino – e, di conseguenza, chi sia anche cittadino dell’Unione – con il solo vincolo di non pregiudicare l’applicazione del diritto europeo. La libertà degli Stati membri comporta la presenza di una varietà di criteri, più o meno restrittivi, per l’attribuzione della cittadinanza nazionale.

Resta agli Stati la competenza a definire chi è proprio cittadino – e, di conseguenza, chi sia anche cittadino dell’Unione – con il solo vincolo di non pregiudicare l’applicazione del diritto europeo

Tra questi criteri se ne riscontrano, in certi Stati, alcuni molto generosi verso gli stranieri disposti ad effettuare ingenti investimenti negli Stati stessi (come avviene, sia pure in base a regole diverse, a Cipro, a Malta e in Bulgaria); tali programmi di “cittadinanza per investimento” consentono a facoltosi imprenditori stranieri di acquisire anche la cittadinanza europea, ottenendo i vantaggi che essa comporta. Benché gli strumenti a disposizione dell’Unione per contrastare tale fenomeno siano alquanto limitati (in ragione della suddetta libertà degli Stati membri), il Parlamento europeo ha di recente sollecitato ad evitare una “mercificazione della cittadinanza dell'Unione”, e la Commissione ha avviato un procedimento di infrazione contro alcuni Stati membri, considerando che tali programmi “minano l’essenza” della cittadinanza dell’Unione.

A di là dell’obiettivo politico, l’effettiva rilevanza della cittadinanza dell’Unione può essere misurata alla luce dei diritti che da essa derivano. Alcuni diritti, come la libertà di circolazione e di soggiorno negli Stati membri, sono certamente ben noti e ormai consolidati, nonostante permanga l’esigenza, manifestata dalla Commissione, di un loro rafforzamento. Un principio cardine che definisce i contenuti della cittadinanza è senza dubbio il divieto di discriminazioni in base alla nazionalità, che si declina oggi in una varietà di situazioni nelle quali si esplica la parità di trattamento rispetto al cittadino nazionale. Conseguenze assai rilevanti comporta altresì il diritto del cittadino dell’Unione al ricongiungimento anche con familiari di Paesi terzi.

Un ruolo fondamentale nella costruzione del contenuto di tali di diritti e nella definizione degli effetti che essi comportano è stato svolto dalla Corte di giustizia. Il filo conduttore di una giurisprudenza estensiva riguardo ai diritti di cittadinanza è il principio, costantemente ribadito dalla Corte, per cui “lo status di cittadino dell'Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri”. Tale costruzione consente di delineare una prospettiva aperta all’individuazione dei contenuti e degli effetti che definiscono i tratti di tale istituto.

Il filo conduttore riguardo ai diritti di cittadinanza è il principio per cui “lo status di cittadino dell'Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri”

La rilevanza dei diritti sopra menzionati si riflette in un elevato grado di conoscenza da parte dei cittadini; un’indagine Eurobarometro del 2020, rileva che il 91% dei cittadini italiani conosce l’istituto della cittadinanza dell’Unione, ma la percentuale di consapevolezza scende riguardo ad aspetti meno noti, come il diritto di voto alle elezioni comunali garantito ai cittadini dell’Unione residenti in uno Stato membro diverso dal proprio. Tali risultati sono emblematici dell’elemento nodale che oggi caratterizza la cittadinanza dell’Unione. Se infatti da un lato essa si è riempita di contenuti concreti assai rilevanti e ben “visibili”, sono, invece, gli aspetti volti a stabilire un legame politico di appartenenza tra il cittadino e l’Unione ad essere scarsamente valorizzati.

Sotto il profilo politico, l’elemento rivelatore del vincolo di appartenenza connesso al concetto di cittadinanza dovrebbe esprimersi mediante il principio della democrazia e, quindi, in primo luogo al momento delle elezioni del Parlamento europeo. È invece ben noto che tali elezioni sono tuttora caratterizzate da una campagna elettorale fortemente marcata dai partiti nazionali, mentre una componente effettivamente europea stenta ad affermarsi.

Stabilire un legame di cittadinanza passa anche attraverso gli strumenti di democrazia partecipativa, ancora non abbastanza noti, come l’iniziativa dei cittadini europei, alla quale dovrebbero, però, essere collegate conseguenze che permettano alle proposte dei cittadini di avere un impatto più significativo sull’attività dell’Unione. Neppure può trascurarsi che il senso di appartenenza passa anche attraverso una comunicazione veritiera e diretta sui temi europei, e che non risulti, come invece generalmente accade, mediata dal dibattito politico nazionale che ne definisce i contenuti e le priorità.

La Conferenza sul futuro dell’Unione, che in questi giorni ha concluso i propri lavori, si è proposta di avvicinare i cittadini all’Unione attraverso strumenti volti ad ascoltarne le istanze; l’effettiva incidenza di tale innovativo esercizio di democrazia potrà essere valutata alla luce sia della capacità di mantenere un dialogo diretto con i cittadini, sia della misura in cui i risultati della Conferenza saranno tenuti in adeguata considerazione.