Il Senato sta discutendo, probabilmente per l’ultima volta, l’introduzione del reato di negazionismo. Dopo un lungo e tortuoso iter parlamentare il testo definitivo dovrebbe essere approvato martedì prossimo. Le numerose audizioni di studiosi e storici (tutti concordi, tranne una, dell’inutilità e della pericolosità di una legge sul negazionismo) non sono state minimamente prese in considerazione, mentre i proponenti si stanno avvitando su se stessi cercando di risolvere alcune contraddizioni interne al testo e riuscendo ogni volta nel difficile compito di peggiorarlo e renderlo ancora più astruso, inutilizzabile e contraddittorio.

Si prenda, ad esempio, la recente discussione in merito alla sostituzione del termine «pubblicamente» con la frase (in corsivo) che segue: «Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda, ovvero l'istigazione e l'incitamento commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale».

Pensare che possa esistere una propaganda o un incitamento che non richieda il «concreto pericolo di diffusione» la dice lunga sulle capacità (linguistiche, logiche, giuridiche) dei nostri legislatori. Un conto è la definizione dei crimini di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità, un conto – ben più importante – è stabilire come essa vada interpretata: se da parte del singolo magistrato che si trova il caso sotto esame, sulla base di sentenze passate in giudicato di corti internazionali, su sentenze stabilite da tribunali nazionali, su decisioni di organi sovranazionali (come il Comitato diritti umani delle Nazioni Unite o altri). È ben noto che perfino su sentenze famose e impegnative (come quella del tribunale dell’Aja per la ex Jugoslavia su Srebrenica) giuristi di chiara fama hanno espresso la propria contrarietà, mentre per i crimini di guerra nella maggior parte dei casi si tratta di accuse che non sono mai giunte a sentenze definitive né in corti internazionali né in corti nazionali.

Nel corso del dibattito è stato fatto notare (dal senatore Giovanardi) che con questa norma si colpisce chi nega un genocidio (o un crimine di guerra) ma non chi lo esalta, reato che non porterebbe con sé un’aggravante ma ricadrebbe soltanto nella propaganda e nell’istigazione all’odio razziale. Di fronte a una polarizzazione del dibattito tra l’accettazione o meno del nuovo emendamento sostitutivo di «pubblicamente» – senza alcuna considerazione relativa alla libertà d’espressione che una legge sul negazionismo rischia di incidere profondamente – è toccato al senatore Quagliariello ricordare che «questo provvedimento rischia, tra le altre cose, di produrre effetti assolutamente opposti a quelli che si prefigge: Popper le avrebbe chiamate conseguenze inintenzionali». Una posizione del tutto isolata (Giovanardi sostiene, infatti, la necessità di punire il negazionismo anche se della sola Shoah); ma forse Quagliariello, da storico, si rende conto del groviglio inaccettabile e incredibile di contraddizioni che una legge del genere porterebbe con sé, con il rischio di mettere in discussione posizioni aberranti ma che si configurerebbero come «opinioni», rischiando di creare le premesse per «verità di Stato» inaccettabili in qualsivoglia democrazia.

Come la maggior parte degli storici intervenuti negli anni passati su questo tema avevano sostenuto, l’idea che appaia sbagliata e controproducente una soluzione penale per un problema culturale ed educativo non ha interessato la maggior parte dei senatori, alcuni dei quali (il senatore Sposetti, ad esempio) si sono limitati a dire «basta» a un dibattito che ritenevano inutile, non tanto perché non aggrediva nei contenuti la questione del negazionismo ma perché la contrapposizione tra emendatori e difensori del «pubblicamente» rispondeva unicamente a considerazioni di schieramento politico (e infatti i senatori del M5S, con l’appoggio del senatore Scilipoti, sono solo intervenuti per chiedere l’annullamento delle votazioni senza dir nulla sul loro contenuto). Chi volesse seguire l’intero dibattito, assai istruttivo sul funzionamento della principale attività parlamentare, quella legislativa, può farlo collegandosi al sito del Senato. Chi invece volesse approfondire seriamente la questione del negazionismo – e questo invito non può che essere rivolto anche a tutti i parlamentari – può partecipare al seminario organizzato dal Dipartimento di Scienze giuridiche «Cesare Beccaria» dell’Università statale il prossimo 24 maggio.