Codice d’onore. L’11 marzo 2011 un’immane catastrofe ha colpito la zona nord orientale dell’isola di Honshû, la più grande dell’arcipelago giapponese. Il terremoto di magnitudo 8,9 della scala Richter con epicentro in mare, già di per sé devastante, è stato seguito da un violento maremoto che ha colpito in particolare le città di Sendai e Fukushima. Se ci hanno riempito d’angoscia le immagini, viste a migliaia di chilometri di distanza sui nostri teleschermi, di grandi edifici, automobili, pullmann, alberi ecc. trascinati come minuscoli giocattoli dall’onda inarrestabile, quelle della totale distruzione di coste, città e campagne che ne è risultata, ci hanno lasciati del tutto annichiliti. Il Giappone è collocato nella cosiddetta “cintura di fuoco del Pacifico”, all’intersezione di quattro placche tettoniche, e questo lo predispone a frequentissimi terremoti, seguiti generalmente da incendi alimentati dal legno di cui sono fatte la maggior parte delle case. Nel 1923, per esempio, la capitale Tôkyô fu in gran parte distrutta da un terribile terremoto, a cui si aggiunse un grave incendio, che causò più di 100.000 morti. Nel 1930 la sua ricostruzione era stata già completata. Oggi si contano 22.000 tra morti e dispersi ma la distruzione seguita all’attuale catastrofe è talmente profonda ed estesa da chiedersi da dove possa incominciare la ricostruzione: nelle prime ore abbiamo visto le squadre di salvataggio guardarsi intorno ed esitare di fronte al totale cumulo di rovine, ma poi, subito dopo, mettersi al lavoro.
E come se non bastasse, in quello che appare come un fatale accanimento, il terremoto (non ancora del tutto esaurito, con ripetute forti scosse d’assestamento) e il maremoto hanno causato danni di grave entità ai reattori della centrale nucleare di Fukushima. Seguiamo con trepidazione i tentativi di limitare la fuoriuscita di radiazioni e i temutissimi danni ambientali, e ci chiediamo con che coraggio possa la gente del posto affrontare anche questo pericolo, oltre alla catastrofe naturale. L’incidente ha dato il via, in Europa e nel mondo, ad un acceso dibattito sull’uso dell’energia nucleare. Eppure, il governo della nazione che ha sofferto sulla propria pelle il vulnus delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, ha deciso da subito di risolvere i consistenti problemi energetici del paese, privo di risorse, per mezzo dell’energia nucleare. Energia ha significato crescita, e tale scelta ha validamente mostrato il carattere pragmatico del popolo giapponese, che nella sua storia ha dato prova di forte energia spirituale ed ha saputo affrontare tante sfide, soprattutto negli ultimi due secoli.
Passato in pochi anni dal feudalesimo alla modernizzazione, dopo il rinnovamento Meiji avviato nel 1868, si è presto collocato nel contesto internazionale a fianco delle grandi potenze, riuscendo a sconfiggerne una, la Russia, nel conflitto del 1904-5; si è rafforzato fino a condurre una politica imperialistica, sullo stesso piano delle potenze occidentali, allargandosi alla conquista del Pacifico; è stato sconfitto e nell’estate del 1945 era un paese allo stremo, devastato dai bombardamenti (il solo bombardamento al napalm nella notte tra il 9 e il 10 marzo 1945, sull’area urbana di Tôkyô, causò enormi danni e 124.000 morti, più delle vittime registrate in ciascuna delle due incursioni atomiche nell’agosto del 1945).
Dopo la fine dell’occupazione da parte delle Forze Alleate, durata dal settembre del 1945 all’aprile del 1952, è iniziato un periodo di rapida espansione e rinnovamento, che è culminato negli anni ’80, quando ha conteso agli Stati Uniti il primato di prima potenza economica mondiale. Entrato in crisi negli anni ’90 si sta, lentamente ma in maniera inesorabile, riprendendo da questa recessione ormai ventennale. Ora questa nazione ferita ci sta dimostrando con l’atteggiamento composto e riservato, la fermezza rassegnata di fronte alla calamità, le lunghe file ordinate e silenziose che appaiono sui nostri teleschermi, qualcosa che forse avevamo dimenticato, la dignità di un popolo che tante volte ha saputo rimboccarsi le maniche e risollevarsi da situazioni difficili. Un popolo che merita l’augurio di risorgere anche da quest’immane catastrofe, per riprendere il suo pacifico cammino di progresso.
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