Il Giappone volta pagina. Il 16 settembre 2009 è diventato Primo ministro del Giappone Hatoyama Yukio, appartenente a una dinastia di politici: il nonno, Hatoyama Ichirô, fu il fondatore del Partito Liberal Democratico. Proprio a questo partito ha inflitto una sconfitta devastante Hatoyama Yukio che, entrato nel mondo politico nelle sue fila, lo ha abbandonato nel 1993 ed è stato nel 1996 uno dei fondatori del Partito Democratico. L’ex Primo ministro Aso Tarô si è assunto, dimettendosi, la responsabilità della sconfitta.

Il Partito Liberal Democratico è stato continuativamente al potere dalla sua fondazione nel 1955, tranne una breve parentesi nel 1993-94, intervallo in cui fu varata la riforma del sistema elettorale che ha facilitato il bipartitismo. L’ultimo rappresentante del Partito Liberal Democratico a godere di un alto indice di gradimento è stato Koizumi Jun’ichirô, Primo ministro dal 2001 al 2006. Dopo di lui, in poco meno di tre anni, hanno assunto l’ufficio di Primo ministro, senza un mandato degli elettori, tre membri del PLD (Abe Shinzô, Fukuda Yasuo e Aso Tarô) che non sono riusciti a traghettare il paese fuori dalla crisi e, soprattutto, hanno indebolito la fiducia della popolazione nel governo a guida PLD.
Sulle elezioni per la Camera Bassa, quindi, si è convogliato tutto lo scontento dell’opinione pubblica, profondamente sfiduciata (come attesta l’aumento del numero dei suicidi) per l’enorme deficit del paese, la crescente disoccupazione (a luglio è stata raggiunta la percentuale record del 5.7%), il continuo calo delle entrate. Nonostante una piccola ripresa, l’economia rimane debole, la povertà è divenuta un serio problema, mentre gli anziani sono preoccupati per il futuro del traballante sistema pensionistico pubblico. Il Partito Democratico si è assicurato con gli altri due partiti minori della coalizione (il Partito Social Democratico e il Nuovo Partito del Popolo) una forte maggioranza nella Camera Bassa, mentre il blocco di governo, PLD e Nuovo Kômeitô, è uscito annientato dalle elezioni.
Il voto è stato piuttosto una manifestazione di scontento verso la politica del PLD che non la dimostrazione di un consenso entusiastico per il Partito Democratico, che mira a introdurre cambiamenti che portino il Giappone a una vera “svolta”, attuando una politica economica più attenta alle esigenze delle classi popolari. Il Partito Democratico ha promesso una generosa assistenza alle famiglie con bambini, l’assistenza diretta agli agricoltori, la creazione di uno stabile sistema di sicurezza sociale, il mantenimento al 5% per i prossimi 4 anni della tassa sui consumi, l’abolizione dei pedaggi autostradali. Si tratta di manovre costose e per le quali, secondo i critici del PLD, manca una specifica indicazione della copertura di spesa. Per reperire i fondi per i progetti del nuovo gabinetto, Hatoyama ha deciso di mettere mano al bilancio preventivo del 2010, esaminando le singole voci e cercando di ridurre gli sprechi, ricorrendo per alcuni progetti a piani pluriennali e vigilando sulle irregolarità compiute dai burocrati dell’amministrazione centrale. Uno dei capisaldi del programma del partito è ridurre la dipendenza del governo dai burocrati (in Giappone la burocrazia è la vera roccaforte del potere sin dall’Era Meiji) e spezzare la triangolazione di interessi politica-burocrazia-industria, che costituisce la base del consenso al PLD.
Ma sarà in grado di gestire la guida del paese un partito che ha optato per candidati giovani, e quindi inesperti, la maggior parte dei quali sono apprendisti della politica? Secondo l’ex Primo ministro Aso, la “svolta” potrebbe essere un salto nel buio. Il gabinetto Hatoyama nasce già con qualche debolezza: ha dovuto, per assicurarsi la maggioranza nella Camera Alta, formare un gabinetto di coalizione con il Partito Social Democratico e il piccolo Nuovo Partito del Popolo, con i quali, però, non vi è totale identità di vedute. Il Partito Social Democratico, pacifista, rifiuta categoricamente ogni impego all’estero delle Forze d’Autodifesa e chiede la conversione in legge dei tre principi non nucleari giapponesi; l’altro alleato, invece, vuole bloccare il processo di privatizzazione del sistema postale iniziato dal PLD.
Il Partito Democratico avrà quindi un bel da fare per assicurare unità sia al suo interno sia all’interno della coalizione di governo. Hatoyama ha però saputo comporre un gabinetto abbastanza equilibrato, in funzione delle prossime elezioni per la Camera Alta, per cercare di guadagnare una maggioranza di seggi che liberi il PD dalla dipendenza dai piccoli partiti della coalizione. Non sarà certo un compito facile, in quanto il nuovo governo dovrà affrontare una complessa serie di problemi che il PLD non è riuscito a risolvere, a partire da un settore delicato come la politica estera.
Hatoyama, come leader dell’opposizione, è stato un critico severo di quella che ha chiamato “posizione sottomessa” di Tôkyô a Washington e sostiene fermamente la necessità di un’evoluzione dell’alleanza Usa-Giappone, più equilibrata e paritaria, e di una revisione dell'accordo sulle forze militari statunitensi nell’arcipelago. L’alleanza tra Giappone e Stati Uniti rimane però indispensabile per la difesa del Giappone e per la stabilità regionale, considerato soprattutto il crescente potere economico e militare della Cina. Hatoyama sostiene, inoltre, la necessità di ristabilire relazioni più strette e cordiali con i paesi asiatici, in particolare Cina e Corea, che hanno avuto pesanti scontri diplomatici con i leader del PLD, soprattutto su questioni riguardanti dispute storiche relative al passato bellico giapponese. La vittoria del PD è stata accolta con favore da Cina e Corea del Sud, in quanto potrebbe costituire un’opportunità per il miglioramento delle relazioni, mentre la Corea del Nord è in attesa di vedere come il nuovo gabinetto gestirà la sfida nucleare nordcoreana alla pace e stabilità dell’Arcipelago. Hatoyama ha anche dichiarato di voler risolvere il complesso contenzioso territoriale con la Russia.
Il nuovo Primo ministro crede nella cooperazione della comunità internazionale e ha solennemente dichiarato che il Giappone s’impegna a tagliare entro il 2020 il 25% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, un obiettivo troppo audace secondo i critici. Hatoyama sostiene che il Giappone dovrebbe utilizzare la propria tecnologia d’avanguardia per la tutela dell’ambiente, il risparmio energetico e la creazione di nuovi posti di lavoro. A due mesi dall’inizio della conferenza dell’ONU a Copenhagen sulla lotta contro i cambiamenti climatici, l’obiettivo sbandierato da Hatoyama potrebbe giocare da catalizzatore per un progresso nei negoziati. Riuscirà il PD a portare a termine anche solo parte delle sue promesse e a realizzare in Giappone un cambiamento epocale?