Fred Block e Margaret Somers, sociologi, autori di questo recente libro sulla critica di Karl Polanyi alle società di mercato, godono di meritata fama come studiosi del grande pensatore ungherese. Polanyi non è soltanto uno storico o un antropologo dell’economia, né soltanto un economista politico o un filosofo sociale, ma entrambe le cose. E, seguendone l’esempio, Block e Somers hanno da sempre rifiutato i limiti della sociologia. I due sono autori di vari saggi su Polanyi che hanno rivisitato per questo volume. La prefazione ci dice che la scrittura del libro si prolunga dai primi anni Ottanta; ciò nonostante, il libro è attuale. Interrogarsi sulla crisi delle società capitaliste avanzate e sul loro futuro è tuttora imprescindibile e perciò è importante riconsiderare come e dove l’economia classica e neo-classica ci conducono su una strada sbagliata. Block e Somers si dedicano a esporre con chiarezza e lucidità le basi critiche che ci offre il capolavoro di Polanyi, La grande trasformazione (1944, trad. it. Einaudi, 1974). In questa sede non posso provare a riassumere né l’uno né l’altro libro (similmente complessi). Rileverò gli elementi più interessanti del lavoro di Block e Somers, e sarò per forza breve su come li applicano alla presente crisi, benché ciò sia alla base dei miei rilievi.
The Power of Market Fundamentalism: Karl Polanyi’s Critique intende restituire a Polanyi la posizione intellettuale centrale che gli è dovuta. Nel 1944, Polanyi mirava a inserire La grande trasformazione nel dibattito sull’economia politica del dopoguerra. Analogamente, Block e Somers vorrebbero introdurre le idee polanyiane nel monologo di un neo-liberalismo che si vuole trionfante, e condurle oltre, nel cuore stesso del pensiero economico. Essi affermano in partenza che le idee hanno potere, riferendosi non solo agli scienziati sociali forse ascoltati dalle autorità pubbliche, ma anche a quelle idee diffuse che Gramsci chiamava il senso comune di una società e di una cultura. La cultura è qui quella creata dal liberalismo economico anglosassone, e la società che gli autori considerano esplicitamente è quella, finora egemone, degli Stati Uniti. È questo restringimento del focus, forse inevitabile, che mi trova più critica, poiché condivido pienamente il principio teorico che afferma la precedenza della società sull’economia e quindi si concede un potere causale alla cultura. Da questa base muoveva Polanyi per criticare quella che chiamava la «fallacia economicista». Tale fallacia assume che il profitto e l’interesse personale siano sempre stati i motivi dominanti nella vita delle società e che l’economia di mercato sia sempre stata prevalente. Il ragionamento economicista incide profondamente anche sul marxismo, come traspare dalla sua visione sulla formazione delle classi e di una solidarietà fondata sull’interesse personale. L’economicismo spiega anche, in parte, l’incapacità politica delle sinistre europee a immaginare un’alternativa al gold standard nel periodo fra le due guerre. Block e Somers mostrano che Polanyi fu tra i pochissimi a mettere in chiaro come l’ortodossia monetaria, nel tentativo di frenare l’inflazione post-bellica e di tornare alla Belle époque, abbia intrappolato governi occidentali nella logica del gold standard. Ogni Paese poté solo rispondere con austerità e deflazione alle domande popolari e all’ondata di scioperi, logorando le istituzioni democratiche, come avvenne in Italia nel 1922, sino alle catastrofiche conseguenze del crollo in borsa americano. «Per Polanyi, il potere e il dinamismo dei movimenti fascisti non dipendeva dalla loro bravura a reclutare aderenti, ma piuttosto dalla loro capacità di trovare una soluzione al vicolo cieco del capitalismo liberale» (p. 57).
Riproduciamo qui l'incipit del Macinalibro di Magali Sarfatti Larson sul volume di Fred Block e Margaret R. Somers, The Power of Market Fundamentalism, pubblicato sul “Mulino” n. 6/14, pp. 999-1002.
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