L’Europa e il crocevia del Caucaso. Il Caucaso meridionale, (Georgia, Azerbaijan, Armenia), a partire dal 2004 è entrato a fare parte integrante della Politica europea di vicinato. Da questa data l’Ue ha formalmente stabilito che il Caucaso rappresenta un’area di grande rilevanza strategica per la propria sicurezza energetica ed allo stesso tempo un importante banco di prova  per il proprio ruolo internazionale, essendo una regione caratterizzata da forti tensioni geopolitiche e da una serie di irrisolti conflitti etnico-territoriali. In primis si deve fare riferimento alla crisi del Nagorno-Karabakh, dietro alla quale si nascondono interessi economici legati agli oleodotti del  Mar Caspio che devono necessariamente transitare nella regione contesa da Armenia e Azerbaijan. Non certo a caso la diplomazia russa vi gioca un ruolo importante, anche attraverso il suo ruolo di mediazione tra le parti in conflitto. L’Ue è intervenuta a sua volta nella regione caucasica meridionale inviando un contingente di  circa 200 osservatori in Georgia per garantire il rispetto della tregua firmata a seguito del conflitto dell’estate del 2008 per le enclave di Abkhazia e Ossezia del Sud, che consentono di fatto alla Russia il pieno controllo del Mar Nero. Al di là delle pur legittime rivendicazioni di autonomia culturale e amministrativa o di indipendenza politica tout court proclamate dalle due repubbliche secessioniste con il decisivo aiuto della Russia, si profila ancora una volta la questione dell’accesso alle risorse energetiche del Mar Caspio, che costituiscono il 18% delle riserve petrolifere e il 45% di quelle gassose mondiali (l’interesse dei paesi e delle majors occidentali è aumentato progressivamente a partire dagli anni Novanta, ritenendo l’area più stabile politicamente rispetto al contesto mediorientale). È evidente che il controllo o perlomeno la presenza in quest’area comporta una serie di opportunità e di rischi strategici che qualsiasi attore internazionale deve necessariamente valutare e gestire con grande attenzione.

Per l’Ue questo obiettivo si dimostra particolarmente importante anche dal punto di vista strettamente politico, perché la sua presenza si inserisce in un contesto in cui la sola diplomazia economica e commerciale – il cosiddetto “soft power” – non si rivela sufficiente per risolvere le gravi crisi  che infiammano la regione, non potendosi escludere la necessità di una serrata trattativa con gli altri attori regionali (a partire da Turchia, Iran e Russia) e forse, extrema ratio, anche il ricorso allo strumento militare. Proprio gli interventi militari hanno però rappresentato storicamente il principale elemento di divisione tra gli Stati membri, impedendo all’Ue di agire sulla scena internazionale come un’entità politicamente coesa. Proprio l’impegno europeo nel Caucaso meridionale, formalizzato a partire dal 2004, potrebbe determinare il definitivo superamento di quella sorta di “introversione protetta” di cui l’Ue ha potuto godere durante la Guerra fredda e nei primi anni successivi alla caduta del Muro di Berlino, per proiettarsi nei “punti caldi” delle crisi internazionali. Di qui la necessità di intensificare, anche da parte dell’Italia, la preparazione delle missioni internazionali dell’Ue quale strumento flessibile e pronto per l’uso nel quadro di una rinnovata e coerente Politica europea di Sicurezza e Difesa nelle aree strategicamente cruciali per la difesa degli interessi italiani ed europei.