A una settimana dall’escalation militare a Tripoli, iniziata il 27 agosto, sono 41 i morti e 128 i feriti accertati, anche se il bilancio resta impreciso per un certo numero di dispersi. I combattimenti con armi pesanti hanno coinvolto zone densamente popolate della capitale libica, soprattutto nel quadrante meridionale. Molti dei morti sono civili, vittime di una guerra sporca che è prima di tutto una guerra tra libici per il controllo dello Stato e dei suoi centri di potere che, non a caso, hanno sede nella capitale. In Italia ci si è accorti di quanto stava succedendo con un certo, imbarazzante, ritardo quando il 1o settembre un colpo di mortaio ha centrato l’albergo internazionale al-Waddan, di fronte all’ambasciata italiana. La stampa di casa nostra ha subito accreditato la lettura di un attacco all’Italia e alla sua politica (e presenza) in Libia, diffondendo, tra l’altro la falsa notizia che una parte del personale italiano risiedesse nell’albergo. L’italocentrismo di questa interpretazione non ha certo aiutato a cogliere la reale portata dei fatti, quando in pochi giorni l’intera città è stata letteralmente bersagliata da una serie di tiri di mortaio e missili. In alcuni casi sono stati colpiti obiettivi politicamente vitali, come l’aeroporto di Mitiga, ma in altri casi si è semplicemente sparato alla cieca con l’obiettivo di diffondere il panico tra la popolazione e delegittimare il Governo di accordo nazionale (Gan), dimostrando che il suo presidente, Fayez al-Serraj, non aveva (come in realtà non ha avuto) la capacità di garantire la sicurezza di Tripoli e l’incolumità dei libici.
Un uso strumentale della violenza che non ha risparmiato le vittime civili e che, soprattutto, ha fatto ripiombare Tripoli in una situazione di forte instabilità e insicurezza, molto simile a quella che seguì alla cosiddetta guerra di al-Fajr Libia nel 2014. A questo si aggiunge che durante i combattimenti sarebbero oltre 400 i detenuti scappati dalle prigioni, proprio quelli che negli anni scorsi avevano sottoposto la popolazione civile di Tripoli a una serie infinita di furti, taglieggiamenti e rapimenti a scopo di riscatto. Si capisce bene allora lo sconforto di un’intera città che nel 2011 contava 2 milioni di persone. Va infine detto che tra le vittime civili se ne sono contate anche alcune straniere, non europee, ma africane, proprio quando alcuni colpi hanno raggiunto quelle strutture di internamento dei migranti irregolari, intercettati nel Mediterraneo e riportati dalla Guardia costiera libica sulla terraferma. Un esempio significativo, passato quasi sotto silenzio nella stampa italiana, delle reali condizioni di rischio per l’incolumità dei cittadini stranieri incappati nelle trappole delle politiche di contenimento messe in atto dall’Italia e dall’Europa con la collaborazione dei libici, a dispetto di chi in Italia vorrebbe far crede che la Libia sia un approdo e un Paese sicuro.
Lasciando da parte l’approssimazione con la quale è stata letta questa complessa e tragica serie di eventi nei termini di un attacco all’Italia, vale la pena di interrogarsi sulle ragioni di una guerra che si trascina dal 2011, quando proprio il 27 agosto, la capitale libica venne “liberata” dalle ultime truppe rimaste fedeli al regime di Mu'ammar Gheddafi. In realtà, la città venne occupata e spartita tra i nuovi vincitori. Fin da quel momento i due principali gruppi di potere militare, e al tempo stesso politico, furono quelli legati a due città della Tripolitania, Zintan, nell’Ovest sulle montagne del Nafusa, e Msrata, nell’Est lungo il Mar Mediterraneo. La contesa tra i due schieramenti per il controllo della capitale culminò nello scontro finale della guerra di al-Fajr Libia nell’estate del 2014: Zintan venne sconfitto e la capitale rimase nelle mani di Msrata e dei suoi alleati. È passata inosservata ai più che proprio pochi mesi prima dell’attuale crisi militare, per l’esattezza il 29 marzo 2018, fosse stata finalmente firmata la pace tra Msrata e Zintan, una pace che rafforzava la tenuta del governo di Serraj e prometteva di sottrarre Zintan al rapporto di collaborazione con le forze del generale Khalifa Haftar che ufficialmente proteggono il Parlamento di Tobruq, oltre a tenerlo effettivamente in pugno.
Gli scontri degli ultimi giorni hanno avuto senza dubbio come obiettivo la destabilizzazione del governo di Serraj e, in senso più ampio, del fronte che lo ha sempre sostenuto. In diverse analisi si è sottolineato come a scatenare il conflitto possa essere stata la pressione sul quadro politico d’insieme esercitata dall’esterno per arrivare a svolgere nuove elezioni nel prossimo dicembre. Questa è sicuramente una possibilità che però va letta molto probabilmente insieme all’ampliamento del fronte delle forze che oggi sostengono il Gan con l’accordo tra Msrata e Zintan a scapito di Haftar e di altri attori minori a lui collegati nell’Ovest del Paese. La pace tra Zintan e Msrata ha senza dubbio alterato questo quadro e ha finito per indebolire il legame tra Haftar e il suo principale alleato nell’Ovest, probabilmente lacerando la stessa leadership della cittadina nel Jabal Nafusa. L’insofferenza allora di alcune formazioni minori, che fino a poco tempo prima avevano sostenuto a distanza Serraj nel quadro di un rapporto più o meno obbligato con Msrata è sicuramente andata aumentando. L’attacco scatenato dalla famiglia Kani delle brigate Kaniyat di Tarhuna, e subito raccolto dalla milizia Ghnewa e dalle forze di Bashir Khalfallah, non hanno mai espresso un chiaro intento politico se non quello di destabilizzare (e poi rinegoziare) il rapporto con il governo di Serraj, salvo dover constare la tenuta della pace (o forse di una nuova alleanza?) tra Msrata e Zintan. Non è dunque un caso che l’escalation militare dei giorni scorsi sia finita rapidamente quando il 3 settembre una parte delle truppe di Msrata e di Zintan (in particolare quelle legate a Emad Trabelsi) sono entrate nella capitale a difesa del governo Serraj, imponendo il giorno successivo un cessate il fuoco che fino ad oggi ha retto. Sulla stampa italiana si è rilevato che sarebbero tutto sommato poche le forze di Msrata e Zintan a essersi mosse a sostegno del Gan: in ogni caso le forze arrivate a Tripoli sono state sufficienti a far arretrare le forze contrarie, però è giusto notare come questo lasci intendere che all’interno delle due leadership di Msrata e Zintan non tutti sono così vicini a Serraj.
L’Italia ha avuto un ruolo importante nell’evolversi della crisi libica, prendendo sempre più le parti di Msrata fin dal 2015, pensando così di influenzare indirettamente il governo di Serraj più di quanto non gli riuscisse già allo scoperto. Dal 14 settembre 2016, l’Italia è presente a Msrata con quella che è stata definita, ricorrendo a un ossimoro, missione “militare umanitaria” per l’ospedale da campo allestito per curare i feriti di Msrata allora impegnati a Sirte nella guerra contro l’Isis. L’Italia non se n’è mai andata da Msrata e ha prestato, a latere della missione sanitaria, un’importante opera di sostegno e addestramento alle sue forze militari. L’Italia ha così contribuito a rafforzare la capacità operativa di Msrata in contrasto diretto con l’appoggio dato da altre potenze straniere al generale Haftar, prime tra tutte Egitto, Russia, Emirati Arabi Uniti e Francia. Non è certo un caso se il 7 settembre Haftar ha dichiarato di voler liberare Tripoli dalle milizie (occupandola lui) e dal nemico italiano. La guerra in Libia è allora una guerra che i libici combattono per il controllo delle Stato e delle sue risorse (petrolifere in particolare), ma è al tempo stesso una guerra internazionale combattuta anche da molti Stati occidentali e arabi, oltre alla Russia, per l’influenza sullo Stato libico e sulle sue risorse. La questione è che le ingerenze esterne non necessariamente finiscono per corrispondere i piani di chi le esercita, ma è anche possibile che siano i libici a piegare ai loro interessi gli appoggi e i legami con l’esterno: se l’Italia ha sostenuto e addestrato militarmente Msrata, la Francia ha fatto la stessa cosa con Zintan (oltre che con Haftar) lungo un quadro che dava per presupposta la contrapposizione tra Msrata e Zintan. È stato proprio il cambio degli equilibri tra libici in Libia che ha finito per spiazzare le logiche di ingerenza esterna a favore di una convergenza maturata tra le due dirigenze libiche. Resta la considerazione che fino a quando un numero importante di Paesi stranieri spalleggeranno una parte o l’altra in conflitto, sarà difficile vedere la pace in Libia.
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