Che s’ha da fa’ pe’ccampa’, dicevano gli italiani del secolo scorso. E se qualcuno nello sforzo di campare faceva torto al codice penale, poi se lo teneva per sé. Lo faceva per vergogna, o magari solo per non dar nell’occhio. Si sa, gli uomini e le donne non disdegnano i compromessi, in privato. Ma quando sono in pubblico amano far bella figura.
E oggi che cosa dicono gli italiani? Né più né meno di quel che dicevano: che s’ha da fa’ pe’ccampa’. Certo, è cambiata qualche sfumatura. Prendiamo il caso di Gianpaolo Tarantini.
Ce n’è parecchio, di che s’ha da fa’, nei verbali in cui l’imprenditore racconta ai magistrati il come, il quando e il quanto del suo personale tirare a campare con il presidente del consiglio. Intanto, c’è il lavoro duro della trentina di belle figliole che han frequentato Palazzo Grazioli e altri luoghi acconci (o sconci, fate voi). Un tot son vecchie del mestiere, escort o prostitute che vogliate chiamarle. Un altro tot esercitano un po’ sì e un po’ no. Qualcuna, racconta Tarantini, «tendenzialmente non è una professionista del sesso, ma all’occorrenza non disdegna di essere retribuita per prestazioni sessuali».
Insomma, poche storie: se occorre l’occorrenza, occorre anche non disdegnare. C’è chi sogna di far la velina, o l’attrice. Altre non mirano tanto in alto, e si accontenterebbero di un seggio in parlamento, italiano o europeo non importa. Se poi capita un ministero, va bene anche quello. Come dar loro torto, se si dan da fare? E come dar torto a Tarantini se, all’occorrenza, si dà da fare anche lui, ma solo nel senso che ne «favorisce le prestazioni sessuali» con chi di dovere? Poi ci son quelle più svelte, che fotografano e registrano. Non per malafede, ma per evitare che l’occorrenza vada sprecata. Si sa, dopo che una (o uno) non ha disdegnato, il peggio che le (o gli) possa capitare è d’esser buggerata (o buggerato) anche in senso metaforico. Se s’ha da fa’ pe’ccampa’, almeno si eviti che l’utilizzatore finale utilizzi a ufo.
Per i moralisti son cose che non si fanno. Ma il moralismo non è una bella cosa, oltre a non prestarsi a legare il pranzo con la cena. Così va il mondo. Ad arruffianarsi il potente c’è sempre da guadagnarci, e scagli la prima pietra eccetera eccetera. Insomma, sarebbe tutto nella miglior tradizione italica, se non fosse per una frase che Tarantini si lascia sfuggire quando ormai tutto sembra finito: «Voglio infine precisare che il ricorso alle prostitute e alla cocaina si inserisce in un mio progetto teso a realizzare una rete di connivenze nel settore della pubblica amministrazione perché ho pensato in questi anni che le ragazze e la cocaina fossero una chiave di accesso per il successo nella società».
Eccola qui, la differenza con l’Italia del secolo scorso. Allora si faceva, ma ci si vergognava e non lo si diceva. Nell’Italia della seconda repubblica lo si dice con orgoglio, convinti che serva e basti a giustificarsi. Sì, ho fatto la porcheria, ma per l’accesso al successo (e scusate la rima, direbbe Totò). Anzi, l’ho fatta all’interno di “un progetto teso a”. Non ho mandato il codice penale a puttane (in senso stretto) per un capriccio, ma a ragion veduta. Perciò, ditemi anche bravo. Quanti italiani la pensano così? A giudicare dai numeri in parlamento, una buona metà. Obtorto collo, dobbiamo dar ragione a Silvio Berlusconi, e al suo recente grido di dolore: povera Italia.
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