I bambini dimenticati di Sua Maestà. “Ci dispiace. Ci dispiace che da bambini voi siate stati sottratti alle vostre famiglie e messi in istituzioni dove così di frequente avete sofferto di abusi. Ci dispiace per la sofferenza fisica, la deprivazione emotiva e la fredda assenza di amore, di tenerezza, di cure. Ci dispiace per la tragedia, l’assoluta tragedia, dell’infanzia perduta”. Con queste parole il 16 novembre 2009 il primo ministro australiano, Kevin Rudd, si è rivolto ad una platea commossa di un migliaio di persone nella Great Hall del Parlamento di Canberra. Le scuse formali, indirizzate ai cosiddetti “australiani dimenticati”, seguono di poco più di un anno e mezzo quella rivolta nel febbraio del 2008 dallo stesso Rudd nei confronti delle popolazioni aborigene, a loro volta denominate “generazioni rubate”, con cui il governo australiano ha dato voce al proprio senso di colpa per il disumano trattamento inflitto agli aborigeni – che è spesso consistito nell’allontanamento dei bambini dalle loro famiglie di origine per disperderne le comunità e cancellarne le tradizioni –, nonché al disagio per la degradata condizione sociale in cui gli originari abitanti della terra australe si trovano ancora oggi. Mentre in quell’occasione si propose addirittura un contestato accordo bipartisan volto a migliorare la condizione sociale degli aborigeni nel tentativo di “raddrizzare i torti del passato e andare avanti con fiducia nel futuro”, nel caso degli “australiani dimenticati” il governo federale ha fatto presente che, nonostante il grave rammarico per le pratiche crudeli messe in atto, non è prevista alcuna forma di riparazione per i danni inferti.
Tale politica ha portato un numero elevatissimo di bambini di umili origini a essere sottratti con l’inganno alle famiglie d’origine e mandati a lavorare in condizioni molto dure in fattorie e campi di lavoro dove, invece dell’istruzione, della formazione di base e del conseguente riscatto sociale promessi, ricevettero un trattamento disumano e spesso subirono violenze fisiche e psicologiche devastanti. A tale gesto il governo è giunto a seguito di un’indagine promossa dal «Community Affairs References Committee» del Senato (Forgotten Australians. A report on Australians who experienced institutional or out-of-home care as Children) e completata nell’agosto del 2004. In essa si stima che almeno cinquecentomila bambini siano stati assegnati a orfanotrofi e ad altre organizzazioni filantropiche, in cui sono stati oggetto di abusi di ordine emotivo, fisico e anche sessuale, e che hanno causato loro gravi sofferenze per la scarsa alimentazione e l’insufficiente attenzione sanitaria.
I bambini venivano trasferiti in queste istituzioni, generalmente con la promessa di una vita migliore, per ragioni diverse: chi perché orfano, chi perché figlio di madre single, altri perché allontanati da famiglie violente o povere, altri ancora sottratti a genitori divorziati. Le istituzioni che hanno accolto questi bambini anche nei migliori dei casi si sono rivelate inadatte a fornire il seppur minimo supporto emotivo, mentre di frequente si sono rese responsabili delle profonde ferite psicologiche e fisiche che molti di questi bambini si sono portati dietro per tutta la vita. Il fenomeno riguarda, in sostanza, la storia del welfare britannico ed è stato analizzato a partire dagli anni Ottanta, poco dopo che, alla fine degli anni Sessanta, il programma di emigrazione coatta dei bambini volto ad alleggerire la pressione finanziaria sui servizi sociali britannici fu dismesso. L’immigrazione forzata di popolazione bianca (“good white stock”) avrebbe anche avuto la funzione di mantenere la supremazia bianca e l’unità razziale dell’Impero Britannico.
Ora, archiviate le scuse di Kevin Rudd concertate con il capo dell’opposizione, Malcom Turnbull, il problema passa, almeno moralmente, al governo britannico. Se infatti l’Australia ha accettato la politica migratoria decisa da Londra, quest’ultima è responsabile di averla realizzata, inviando nel periodo compreso tra il 1618 e il 1967 circa centocinquantamila bambini nelle colonie britanniche. Seppur le stime varino sensibilmente a seconda delle fonti, tale cifra è stata avanzata dallo storico Stephen Constantine (Child migration: philanthtopy, the state and the empire, 2008), che ha anche fatto notare come nel corso dei primi due secoli i bambini venissero inviati in Virginia e in altre colonie americane, alcuni in quanto criminali con condanne definitive, per venire solo in seguito trasferiti nelle colonie penali australiane. Bisogna tenere però presente che la migrazione di bambini bisognosi di risistemazione per indigenza o motivi familiari si verificò soprattutto a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Di questi alcuni furono mandati in Nuova Zelanda, molti in Canada (la stima è di circa novantamila bambini tra il 1869 e gli anni Venti del Novecento), mentre circa settemila (alcune fonti sostengono diecimila) furono mandati in Australia. Si tratterà ora di vedere se e quando giungeranno le scuse del governo britannico, certamente non meno colpevole di quello australiano.
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