Che cosa significa “sovranità” nel mondo di oggi? Come si esercita nel contesto europeo? Sono domande più che mai attuali, come dimostrano le polemiche seguite alle parole del presidente della Repubblica Mattarella sulla sovranità europea in occasione della Festa della Repubblica.
Ancora manca una concezione condivisa di che cosa sia la sovranità e del suo rapporto con la dimensione europea, tanto che attorno ad essa si è sviluppato lo scontro politico di questi anni. Non a caso, uno dei termini più in voga nel Vecchio continente è stato – ed è – sovranismo, una categoria politica che indica la volontà di riaffermare il primato della sovranità nazionale rispetto a qualsiasi sua limitazione derivante dall’appartenenza all’Unione europea (Ue). Nel volume da poco pubblicato per raccontare le sfide dell’Europa – Salviamo l’Europa. Otto parole per riscrivere il futuro – una delle parole chiave è proprio questa, sovranità.
Si tratta di un concetto centrale nel dibattito europeo, perché è attorno alla sovranità che si compie la volontà di far parte o meno dell’Ue. Essa, infatti, fonda la sua stessa esistenza su una scelta volontaria e democratica degli Stati membri che decidono di aderirvi: farne parte richiede una condivisione della sovranità in cambio dei vantaggi di una più stretta cooperazione. Detto in altri termini, si chiede agli Stati di rinunciare a decidere da soli su determinate materie, per raggiungere una maggiore efficacia negli effetti di quelle decisioni, prese insieme ad altri Paesi.
Questo principio si vede bene nella politica commerciale, una delle cinque competenze (pochissime!) in cui l’Ue detiene il primato rispetto alla dimensione nazionale. Se da un lato gli Stati concorrono a determinare le priorità negoziali facendo, così, valere i propri interessi particolari, dall’altro l’Unione negozia a una voce sola, avendo, così, un maggiore potere contrattuale che le consente di ottenere risultati altrimenti impossibili. È così, ad esempio, che l’Italia è riuscita a garantire la protezione delle sue eccellenze agro-alimentari nel mondo – un interesse nazionale non da poco per il nostro Paese. Un risultato che non sarebbe stato possibile senza l’esercizio di una sovranità europea condivisa. Si vede bene, dunque, che la sovranità nazionale è stata meglio esercitata attraverso la sovranità europea. Il “prezzo” da pagare? Semplicemente un processo decisionale non più in solitudine, ma condiviso con gli altri Paesi membri.
Considerare l’adesione all’Europa come una scelta tra la facoltà di decidere da soli e i vantaggi derivanti dallo stare insieme, permette di comprendere meglio anche la Brexit. Con il referendum, infatti, i britannici hanno scelto di riprendersi il controllo delle proprie decisioni – lo slogan dei Brexiteers era Take Back Control – rinunciando ai vantaggi della cooperazione europea. È di tre mesi fa l’annuncio dell’Office for Budget Responsibility – un organismo indipendente di vigilanza fiscale – secondo cui la Brexit è costata all’economia britannica, dunque alla prosperità di un intero Paese, ben 4 punti di produttività potenziale. Una scelta spinta da considerazioni ideologiche e identitarie che ha trascurato i costi economici; esattamente l’opposto di quanto avvenne nel 1973, quando il Regno Unito entrò nella Comunità economica europea non spinto da un’adesione ideologica al progetto politico dell’integrazione europea, ma puramente per ragioni di convenienza economica.
La Brexit ci mostra chiaramente il significato di sovranità nel mondo di oggi. Conta di più la facoltà di decidere da soli o l’efficacia delle decisioni? La prima, che ha prevalso nella Brexit, rivela una concezione di sovranità più come fine in sé, che come mezzo attraverso cui dare benefici a una comunità. È questa seconda concezione, invece, la grande opportunità che l’integrazione europea offre: non importa più chi decide – data per garantita la legittimità democratica del processo decisionale – ma la priorità riguarda l’effetto concreto delle decisioni sulla vita dei cittadini. È il principio della centralità della persona, pilastro delle democrazie liberali che proprio sulla protezione delle libertà individuali, dei diritti umani e dello Stato di diritto fondano la loro esistenza.
E se in una democrazia liberale lo Stato esiste per servire i cittadini, allora l’integrazione europea ci offre la straordinaria opportunità di far evolvere nella medesima direzione anche la concezione della sovranità. Essa, infatti, non va più vista come indivisibile, ma come un insieme di competenze da assegnare al livello di governo – locale, nazionale o europeo – che meglio consente di raggiungere le finalità dell’azione pubblica. La filosofa Céline Spector suggerisce che la condivisione di sovranità che l’Europa ammette, “implica la sua conversione in competenze o la sua scomposizione in funzioni: si tratta di concepire il potere pubblico (Staatsgewalt) più che la sovranità in senso classico (Souveränität)” (C. Spector, Briser l’idole. Sur la souveraineté européenne, in “Le Grand Continent”).
Condividendo la sovranità nazionale, quella classica, e costruendo così quella europea, condivisa, si può raggiungere una maggiore efficacia del potere pubblico quando la prima, da sola, non è più sufficiente. Proprio come emergeva nell’esempio della politica commerciale, se accogliamo questa nuova concezione di sovranità, spostando l’attenzione dalla facoltà di decidere all’efficacia delle decisioni, la presunta contrapposizione tra sovranità nazionale e sovranità europea condivisa svanisce e lascia spazio a uno stretto rapporto simbiotico tra le due, per cui costruire la seconda significa rafforzare la prima.
Condividendo la sovranità nazionale, quella classica, e costruendo così quella europea, condivisa, si può raggiungere una maggiore efficacia del potere pubblico quando la prima, da sola, non è più sufficiente
Questa visione moderna e liberale della sovranità si ritrova anche nella nostra Costituzione. In particolare, viene resa esplicita nei princìpi fondamentali, all’articolo 11, parlando della pace. La Carta, infatti, riconosce che “in condizioni di parità con gli altri Stati” sono consentite “limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”.
Parole che vanno dritte al cuore del tempo che stiamo vivendo. Perché oggi non esiste ambito più importante e urgente nel quale costruire una sovranità europea condivisa quanto la nostra capacità di essere attori di pace. In un mondo sempre più disordinato, pericoloso e dove il diritto internazionale e le “regole” di convivenza sono sempre meno condivise, noi europei siamo chiamati a replicare fuori dai nostri confini, quel processo di pacificazione realizzato tra di noi. È certamente una sfida molto più ardua e implica modalità diverse e nuove, ma non va dimenticato che sin dagli albori dell’integrazione europea era già presente un’ambizione che non si limitava alla sola Europa, cui riconosceva un ruolo indispensabile. La dichiarazione Schuman, il 9 maggio 1950, si apre in maniera inequivocabile:
“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”.
Settantaquattro anni dopo, queste parole ci indicano l’importanza dello spartiacque della storia in cui siamo immersi e della scelta che siamo chiamati a compiere. Scelta ben riassunta dalla domanda che il Cardinale Matteo Zuppi (Cei) e Monsignor Mariano Crociata (Comece) hanno rivolto direttamente all’Unione in occasione della Giornata dell’Europa, il 9 maggio scorso: “Che ruolo giochi, Europa, nel mondo?”. Un interrogativo che i due prelati rivolgono all’Ue, ma che in realtà è diretto a ciascuno di noi: che ruolo vogliamo giocare – come italiani e come europei – nel mondo?
Zuppi e Crociata danno una loro risposta che indica una direzione chiara: “Vogliamo che tu incida e porti la tua volontà di pace, gli strumenti della tua diplomazia, i tuoi valori”. La capacità di incidere; ecco il cuore della questione. Ma la capacità di incidere non è che un altro modo di spiegare quella concezione di sovranità come mezzo e non come fine in sé. Per realizzare quella “volontà di pace” che fa parte della ragione d’essere del progetto europeo, la strada è una sola: condividere sovranità anche negli ambiti della politica estera e di sicurezza, della politica di difesa e della politica fiscale, competenze che, ad oggi, rimangono nazionali.
Basti guardare all’indicibile tragedia che si sta ancora consumando in Medioriente: l’Europa è assente. Ma lo è perché i suoi Stati non hanno condiviso la sovranità che le consentirebbe di essere un interlocutore geopolitico riconosciuto ed efficace
Solo permettendo la costruzione di una sovranità europea, potremo mettere l’Ue in condizione di incidere negli scenari internazionali e contrastare i venti di vecchi e nuovi imperialismi. In alternativa, continueremo a non toccare palla, a essere irrilevanti. Uno scenario che non è ipotetico ma è già realtà. Basti guardare all’indicibile tragedia che si sta ancora consumando in Medioriente: l’Europa è assente. Ma lo è perché i suoi Stati non hanno condiviso la sovranità che le consentirebbe di essere un interlocutore geopolitico riconosciuto ed efficace.
Esattamente settant’anni fa, nell’agosto del 1954, se ne andava uno dei più grandi statisti del nostro Paese, Alcide De Gasperi. Potremmo definirlo il primo sovranista europeo, perché fu tra coloro che già allora avevano compreso che solo attraverso la dimensione europea, si poteva esercitare una sovranità di fatto. Andava esattamente in questa direzione il suo impegno per costruire la Comunità europea di difesa (Ced), non semplicemente un esercito comune, ma un progetto di Europa politica, con istituzioni sovranazionali, un bilancio comune e un controllo politico e parlamentare. Un progetto che, insieme alla già esistente Comunità economica del carbone e dell’acciaio (Ceca), avrebbe rappresentato l’embrione di un’unione politica federale, in grado di esercitare una sovranità europea anche in ambito geopolitico. Sappiamo, purtroppo, che non andò così, con il voto contrario dell’Assemblée Nationale francese, 11 giorni dopo la morte dello statista trentino.
In un certo senso, oggi siamo nuovamente a quel bivio, che ruota intorno alla concezione di sovranità. Possiamo scegliere se riprendere il lavoro di De Gasperi oppure rimanere ancorati a una visione anacronistica della sovranità, relegata alla dimensione nazionale e, per questo, inefficace. Spetta a ciascuno di noi decidere.
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