Il fatto che, il 4 luglio scorso, i grandi organi d’informazione italiana abbiano pressoché ignorato, o comunque relegato in luoghi più o meno inaccessibili, la notizia della morte di Paolo Grossi, è cosa notevole che induce a qualche riflessione.

Paolo Grossi non è stato soltanto uno dei professori italiani più noti al mondo, ospitato come una vera e propria star negli atenei di molti Paesi stranieri (che gli hanno attribuito numerose lauree e dottorati honoris causa), fondatore di una Scuola, di un Centro studi e di una rivista (i «Quaderni Fiorentini») che sono un punto di riferimento mondiale per gli studiosi di cose giuridiche. È stato anche Giudice – e per due anni presidente, infine presidente emerito –, della Corte costituzionale, un organo apicale della nostra Repubblica, le cui decisioni incidono profondamente sulla vita dei cittadini (come sanno anche i giornalisti più disattenti quando si aspettano da essa decisioni «delicate»).

Che la morte di Grossi, avvenuta nella notte del 4 luglio, non abbia fatto per nulla notizia appare perciò davvero significativo (oltre che sconcertante, va da sé, se si guarda a quali siano state invece le notizie che occupavano le homepage di tutti i giornali, e non mi riferisco ovviamente né alla guerra in Ucraina, né alla tragedia della Marmolada): significativo, cioè indicativo di uno stato, che riguarda sia la cultura giuridica, sia la cultura dell’informazione, sia i rapporti tra queste due dimensioni.

Con riguardo alla prima, esiste in Italia un problema annoso: quella giuridica è poco considerata quale «cultura» ed è invece trattata alla stregua di una tecnica specifica, che può interessare solamente i suoi cultori. Basta entrare in una libreria per rendersene conto: mentre i testi di sociologia, di economia, di politica si trovano nei reparti più in vista, insieme alla letteratura, alla storia, alla filosofia e all’attualità, quelli di diritto si trovano in un angolo più o meno remoto, subito dopo i settori dedicati ai libri per bambini, all’astrologia, alla zoologia, alla magia. E non parlo solo dei testi specialistici, che si confondono con i manuali dedicati ai concorsi. Mi riferisco ai lavori di autori come Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky e Paolo Grossi, che negli ultimi decenni hanno senza alcun dubbio espresso il meglio della cultura italiana (con riferimento non solo a quella giuridica).

Autori come quelli che ho citato hanno combattuto insistentemente proprio contro la chiusura del mondo e del linguaggio giuridico, mostrando come fosse possibile, oltre che auspicabile, aprire il diritto alla società

Che ci sia una responsabilità diretta e precisa dei giuristi in questa faccenda è sicuro: il loro linguaggio quasi sempre esoterico, ipertecnico, autocompiaciuto, le cui formule impervie e oscure non sempre sono giustificate dalla difficoltà degli argomenti trattati, non può che guadagnarsi nelle librerie un posto che sta al confine con l’esoterismo per l’evidente affinità dello stile. Ma questo non vale sempre. Autori come quelli che ho citato – e Paolo Grossi più di tutti – hanno combattuto insistentemente proprio contro la chiusura del mondo e del linguaggio giuridico, mostrando come fosse possibile, oltre che auspicabile, aprire il diritto alla società, non solo dal punto di vista teorico e applicativo, ma appunto a cominciare dal linguaggio impiegato per praticarlo e comunicarlo. Grossi in particolare aveva la straordinaria – e assai rara, tra i giuristi – capacità di mettersi non dal lato di chi pronuncia le parole ma da quello di chi le ascolta, e questo spiega l’eccezionale qualità delle sue lezioni e conferenze, sempre apprezzatissime da chiunque le ascoltasse, si trattasse di studenti, avvocati, giudici, professori o cittadini che non avessero nulla a che fare con le professioni giuridiche.

La sua attenzione per la comunicazione della cultura giuridica è stata costante: non a caso è stato lui, da presidente della Corte, ad avviare un'iniziativa di grande successo in occasione del settantesimo anno della Costituzione, e cioè il «Viaggio in Italia: la Corte Costituzionale nelle scuole», prevedendo che i singoli giudici costituzionali andassero negli istituti scolastici per incontrare i giovani, «allo scopo di accrescere nelle nuove generazioni la consapevolezza e la condivisione dei valori di legalità e di democrazia, nonché la conoscenza del ruolo svolto dalla Corte costituzionale a garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali» (qui il video).

Se Grossi era un'eccezione, è indubbio che la maggior parte dei giuristi abbia fatto e continui a fare scelte comunicative molto differenti, se non opposte. Le colpe dei giuristi però non sono le sole. E qui arriviamo al secondo punto. Nella disattenzione da cui ho preso le mosse gioca un ruolo enorme, se non decisivo, anche e soprattutto il fatto che l’informazione italiana sembra dedicare il suo spazio sempre più decisamente e pervasivamente all’effimero, al sensazionale, allo star system, a tutto ciò che appartiene al circo(lo) mediatico, nel quale i soliti protagonisti (di cui fanno parte a pieno titolo gli stessi appartenenti al mondo informativo) parlano di loro e fra di loro. Non mi metterò a fare esempi: basta aprire un quotidiano, ascoltare un telegiornale, consultare la homepage di un qualsiasi organo informativo in un qualsiasi giorno dell’anno.

L’informazione italiana sembra dedicare il suo spazio sempre più decisamente e pervasivamente all’effimero, al sensazionale, allo star system, a tutto ciò che appartiene al circo(lo) mediatico, nel quale i soliti protagonisti parlano di loro e fra di loro

Ma il punto più importante su cui riflettere è il terzo, relativo al rapporto tra sistema informativo e cultura giuridica. Al netto di una cultura diffusa, come quella italiana, che non si potrebbe certamente definire una «cultura delle regole», c’è infatti una precisa responsabilità degli organi di informazione, che solo raramente sanno dare il giusto spazio, e soprattutto dedicare il corretto approfondimento, alle cose giuridiche. Il modo quasi sempre sensazionalistico col quale si parla di sentenze che fanno «scalpore», o la maniera, spesso poco rispettosa di diritti fondamentali, in cui si danno le informazioni relative a indagini in corso, lo confermano continuamente. Ma soprattutto, ne dà conferma il vuoto di informazione giuridica che caratterizza i mass media italiani, se si eccettuano testate e inserti anch’essi specialistici.

Che la cosa sia incredibile mi pare evidente: cosa c’è più del diritto a condizionare le nostre vite individuali e collettive? Appare davvero strano che ciò non emerga, se non raramente, sugli organi di informazione. Ma a questa scarsa sensibilità si unisce una altrettanto debole attenzione per la vita delle istituzioni, quando questa non coincida con le vicende e le diatribe politiche, con le appartenenze contrapposte, o addirittura con le vicende più o meno scabrose dei loro rappresentanti pro-tempore. Figuriamoci quanto poteva interessare, quindi, un personaggio come Grossi, la cui partecipazione alla vita delle istituzioni è stata segnata esclusivamente dalla piena volontà di mettersi al servizio di quella Repubblica, al quale era stato inaspettatamente chiamato nel 2009 dal Presidente Napolitano. Eppure, durante la sua presidenza – durata ben due anni, una delle più lunghe nella storia della Corte – si sono prese decisioni importanti e persino coraggiose: chi ne voglia avere contezza può ascoltare le parole di Giuliano Amato, ultimo presidente della corte prima di Silvana Sciarra.

Tutte cose poco interessanti, evidentemente, per un sistema informativo che cerca solo gli «eventi» e le cose eclatanti. Forse se i giornalisti avessero saputo che, nel 2011, in occasione di una giornata dedicata congiuntamente da Comune e Università alle matricole fiorentine, Grossi espresse la sua «sincera amarezza per l’assenza del sindaco, assenza che solo un motivo di salute avrebbe potuto giustificare», allora avrebbero avuto una notizia da diffondere: «Morto stanotte Paolo Grossi, presidente emerito della Corte costituzionale. Nel 2011 fece una pubblica ramanzina a Matteo Renzi, che all’ultimo momento non si presentò a un appuntamento istituzionale…».