Calo delle nascite, mortalità, immigrazione, contraccezione, vecchiaia, emigrazione, pandemia, aumento della popolazione, servizi per l’infanzia, mercato del lavoro: queste parole richiamano solo alcuni tra i concetti che con più insistenza ricorrono nel dibattito pubblico quando viene tirata in ballo la demografia. Si tratta di concetti non nuovi, che anzi hanno segnato in maniera indelebile la storia moderna e contemporanea, concetti spesso e volentieri strumentalizzati dalle classi dirigenti, sia nei contesti democratici sia nei regimi autoritari. Ancora oggi, lo sguardo prevalente sui fenomeni di crescita e decrescita della popolazione è associato ad allarmismi, a catastrofismi, a un approccio emergenziale e spesso superficiale che serve tendenzialmente a proporre ricette facili e a impressionare il pubblico.

Lo studio della popolazione e del suo mutamento è al contrario una sfida complessa, interdisciplinare, da affrontare prendendo in esame fonti differenti e strumenti di misurazione articolati. Per questo la demografia è una scienza, che come tutte le altre segue precisi metodi di lavoro, si concentra su scenari costruiti in modo meticoloso, elabora i dati ripensando continuamente alle modalità con cui sono stati raccolti, mette a verifica le ipotesi in maniera rigorosa.

Leggere ricerche demografiche è quindi un’esperienza al tempo stesso utile e affascinante: si tratta di ricerche scientifiche che hanno a che fare con la vita di tutti i giorni e che ricostruiscono spaccati nei quali in qualche modo è coinvolta tutta la popolazione. Non fa eccezione il volume di Alessandro Rosina e Roberto Impicciatore Storia demografica d’Italia. Crescita, crisi e sfide (Carocci, 2022).

Ponendosi l’obiettivo di raccontare dal punto di vista demografico l’evoluzione dell’Italia dal 1861 a oggi, il libro si apre con tre date simboliche, 1861, 1961, 2011, cui fa seguito un richiamo alla fase pandemica, con cui si conclude la narrazione nelle pagine finali. Per esemplificare la profondità e l’intensità delle trasformazioni sociali e culturali avvenute nell’Italia unita, gli autori propongono alcuni numeri associati a queste date. Nel 1861 l’aspettativa di vita degli italiani supera di poco i 30 anni, un secolo dopo sale oltre i 65 anni, nel 2011 supera gli 80 anni. Nel 1861 il numero medio di figli per donna è attorno a cinque, nel 1961 tra i due e i tre, nel 2011 è più vicino a uno che a due.

Le modernizzazioni economica, scientifica e tecnologica determinano un duplice impatto sulla demografia: aumenta la popolazione e inizia a declinare il tasso di natalità

Il primo capitolo del volume è dedicato alla fase compresa tra l’unificazione nazionale e la Seconda guerra mondiale. L’Italia conosce con ritardo rispetto a molti Paesi europei il distacco dalla demografia di antico regime, che si avvia negli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento. Soprattutto grazie ai miglioramenti della medicina, si riducono progressivamente i rischi di morte e il calo della mortalità ha effetti immediati, che si intrecciano alle prime forme di pianificazione del concepimento. Le modernizzazioni economica, scientifica e tecnologica determinano quindi un duplice impatto sulla demografia: aumenta la popolazione e inizia a declinare il tasso di natalità.

Gli autori si soffermano sulla centralità dell’emigrazione già sul finire dell’Ottocento, all’interno di un contesto di strutturale squilibrio tra popolazione e opportunità del mercato del lavoro: l’attenzione ai fenomeni di mobilità rappresenta un filo rosso che attraversa tutti i capitoli. Vengono poi ripercorse le vicende legate all’impatto demografico della Prima guerra mondiale, dell’epidemia di influenza spagnola e della Seconda guerra mondiale, senza trascurare l’investimento del regime fascista sul controllo della demografia, che viene raccontato a partire dai suoi esiti contraddittori.

Molto più spazio Impicciatore e Rosina dedicano al periodo post 1945. La fase della ricostruzione e del miracolo economico produce un periodo di intensa mobilità, sia sul territorio sia a livello di miglioramento sociale. Il “baby boom” è il frutto di questa stagione. L’allineamento positivo degli indicatori economici, la riduzione delle disuguaglianze e dei divari, insieme alle maggiori tutele dello Stato sociale, favoriscono l’aumento dei matrimoni in età giovanile e l’aumento delle nascite.

Il quadro cambia a metà degli anni Settanta, quando si affacciano fenomeni nuovi legati al mutare della congiuntura globale: il tasso di fecondità si riduce, insieme alle opportunità per le giovani generazioni. Allo stesso tempo maturano nuove scelte nell’ambito familiare, quali l’aumento dell’età media del matrimonio e la stessa messa in discussione della famiglia tradizionale. Gli anni a cavallo tra i due millenni e la fase più recente sviluppano il quadro emerso a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. Emerge una fase dominata in modo sempre più marcato dall’invecchiamento della popolazione, dalle migrazioni, dalla crisi dello Stato sociale e dall’accesso sempre più accidentato al mercato del lavoro per i giovani. Alla recessione che segue la crisi mondiale del 2008 e alla pandemia è dedicata la parte finale del libro.

Su ogni singola stagione si potrebbero aprire discussioni e approfondimenti. Nell’economia complessiva della narrazione, ad esempio, manca una contestualizzazione della storia delle politiche sociali, che a tratti vengono inquadrate con riferimenti all’assistenzialismo e al clientelismo che non danno conto delle scelte degli attori in campo. Nella parte finale si può scorgere una contraddizione tra le criticità riguardanti la congiuntura più recente e la necessità più volte richiamata di non chiudere l’orizzonte a cambiamenti e innovazioni che potrebbero modificare il contesto in modo radicale. Ma Impicciatore e Rosina ci forniscono una sintesi, all’interno della quale era oggettivamente difficile inserire ulteriori elementi di complessità. Gli autori propongono un volume agile e mettono a disposizione una serie di strumenti che suscitano ulteriori prospettive di ricerca: è questo l’obiettivo dell’opera e può dirsi pienamente raggiunto.

Il volume restituisce una sensazione molto netta: la storia di 160 anni di demografia italiana è una storia di progressive e continue rotture. In un arco di tempo limitato i fattori di trasformazione e di cambiamento sono numerosi e si nutrono l’uno con l’altro aprendo a nuovi e ripetuti cambi di scenario. Non a caso viene utilizzato anche il termine “rivoluzione”, introdotto ad esempio a proposito della nuova stagione inaugurata negli anni Sessanta-Settanta del Novecento a seguito delle scelte delle donne, che rifiutano in modo netto di essere relegate alla sola funzione riproduttiva e materna.

Quello che colpisce non è solo l’intensità delle trasformazioni ma anche la rapidità con cui si susseguono e tendono a modificare in tempi molto stretti assetti appena consolidatisi

Quello che colpisce non è solo l’intensità delle trasformazioni ma anche la rapidità con cui si susseguono e tendono a modificare in tempi molto stretti assetti appena consolidatisi. I cambiamenti vengono raccontati e spiegati alla luce di spiegazioni plurali: questa è un’altra caratteristica del libro. L’approccio degli autori non è mai orientato a individuare singoli fattori alla radice dell’evoluzione della popolazione, approccio tipico di molte semplificazioni e strumentalizzazioni ricorrenti anche del dibattito scientifico. I comportamenti culturali vengono tenuti a fianco del quadro economico, delle responsabilità istituzionali, dei progressi della scienza e della medicina, dei grandi shock di portata globale quali le guerre mondiali, le epidemie e le crisi economiche, della centralità delle migrazioni internazionali, dell’importanza della scuola e in generale del welfare.

In questo modo la demografia tende a rappresentare più una “scienza delle possibilità” che una “scienza delle inevitabilità”, che ci insegna a ragionare sulla possibilità che le società si possano evolvere a partire da scelte che le popolazioni possono gestire e controllare consapevolmente. Uno sguardo lontano da quel catastrofismo intriso di determinismo demografico che spesso sembra dominare in modo incontrollato il dibattito pubblico.