Hillary vs The Donald, senza esclusione di colpi. È stato uno scontro aspro, senza esclusione di colpi, il secondo dibattito tra i candidati dei due partiti maggiori alla Washington University di St. Louis. Il dibattito, moderato dall’esperta giornalista di Abc News Martha Raddatz insieme col popolare conduttore di Cnn Anderson Cooper, è arrivato in uno dei momenti più difficili per Donald Trump, dopo la pubblicazione di un video del 2005 da parte del «Washington Post» con quelle espressioni così sprezzanti ed eloquenti nei confronti del mondo femminile. Le prese di distanza di sua moglie Melania e di Mike Pence – il quale si è comportato molto bene nel primo dibattito vice-presidenziale del 4 –, unite alle dure critiche dello speaker della Camera Paul Ryan, hanno indebolito la popolarità del magnate newyorkese.
Prima del dibattito del 27 settembre vinto, secondo i media e i sondaggi, da Hillary Clinton, il divario tra i due sfidanti sembrava essersi praticamente azzerato: invece, nei giorni successivi la candidata democratica ha guadagnato nuovamente terreno. Le polemiche sulle frasi sessiste di Donald Trump hanno rafforzato questo trend ridando fiato alle voci di chi, all’interno del partito repubblicano, si è sempre interrogato sull’opportunità della sua candidatura alla Casa Bianca. Hillary Clinton, rinvigorita dopo il calo di consensi di settembre, ha parlato, non a caso di «fitness», quell’adeguatezza e idoneità da lei mai contestata ai predecessori di Trump, nemmeno a quelli più lontani come posizioni politiche e visioni dal mondo. Per il candidato democratico è difficile riconoscere la stessa «fitness» a chi, oltre alle donne, ha già attaccato con parole molto gravi immigrati, afroamericani, ispanici, disabili, prigionieri di guerra e musulmani.
Donald Trump, incalzato dal conduttore Cooper, si è difeso dalle ultime accuse di sessismo legate al video appena divulgato, ripetendo più volte l’espressione «locker room talk» (chiacchiere da spogliatoio) e spostando l’attenzione sulla gravità di altre parole, quelle dell’Isis, la cui minaccia può essere sconfitta solo in caso di sconfitta dei democratici.
Il candidato repubblicano (che ha portato con sé a St. Louis tre donne che in passato avevano accusato il presidente Bill Clinton di molestie sessuali) ha preferito parlare dei limiti della rivale, con dei toni molto più accesi rispetto al primo dibattito. Chiedendo di inquadrare le presunte vittime presenti, ha definito l’ex presidente «ingiurioso e violento» nei riguardi delle donne, estendendo le accuse all’ex first lady.
Ha poi indugiato ancora una volta sul noto scandalo delle email dell’ex segretario di Stato definendola «il diavolo», mettendo in discussione la capacità di Clinton di passare dalle parole ai fatti. Nel momento di maggiore coinvolgimento emotivo, ha promesso di nominare un procuratore speciale, una volta eletto presidente, per poter fare luce sulla vicenda e spedirla in galera.
Trump Ha poi preso le distanze dalla proposta di Mike Pence – che aveva chiesto un intervento più duro degli Stati Uniti sullo scenario siriano – nel tentativo di indebolire la posizione del candidato alla vicepresidenza, che negli ultimi giorni diversi commentatori e rappresentati nella corrente moderata repubblicana avevano indicato come possibile sostituto di Trump in vista di un clamoroso cambio in corsa. Lo stesso Pence, a margine del dibattito, ha dato segnali di distensione complimentandosi con Donald Trump per l’ottima performance, giudicata anche dal pubblico, secondo i primi sondaggi a caldo, sopra le aspettative in considerazione del momento di crisi per il discusso candidato repubblicano.
Rispetto al primo dibattito è mancato un autentico confronto sui programmi elettorali e la discussione si è inevitabilmente polarizzata attorno ai consueti scambi di accuse e sulle polemiche delle ultime settimane. Non a caso anche sui social network i commenti degli spettatori sul faccia-a-faccia tra i due candidati sono aumentati in maniera esponenziale rispetto al dibattito di fine settembre, con numerosissimi riferimenti ai botta e risposta televisivamente più coloriti e spettacolari.
Hillary Clinton, malgrado la posizione di vantaggio, non ha sfruttato il palese nervosismo iniziale del rivale e si è fatta coinvolgere nella bagarre, senza riuscire ad assestare il colpo del ko. Ha accusato l’avversario di arrampicarsi sugli specchi, alla ricerca di diversivi per mascherare una candidatura ormai sul punto di saltare.
Sul tema della Russia e dell’hackeraggio degli scambi di email tra i vertici democratici, la candidata democratica non ha risparmiato allusioni alla presunta responsabilità nella vicenda di Donald Trump, il quale ha recentemente ha lanciato segnali di avvicinamento a Putin. Clinton, tra un’accusa e l’altra, ha citato un’espressione di successo usata da Michelle Obama nella convention democratica di Philadelphia («when they go low, we go high») per ribadire come tutte le scorrettezze degli avversari, a lungo andare, contribuiscano in realtà ad accrescere la sua popolarità di chi è attaccato così duramente.
Secondo i primi sondaggi della Cnn, il 57% degli americani giudica la democratica vincitrice anche di questo secondo confronto.
Tuttavia l’asprezza dei toni e la mancata discussione sulle grandi questioni di politica interna che possono risultare decisive tra gli indecisi degli swing State, probabilmente non inciderà sul consenso popolare dei due candidati.
Donald Trump può ancora sperare nel terzo e ultimo dibattito di mercoledì 19 ottobre alla University of Nevada, ma rispetto al day after del primo dibattito, sulla base della media dei sondaggi e delle proiezioni sui singoli Stati, le sue possibilità di vittoria sarebbero scese dal 42% al 18%, mentre quelle di Hillary Clinton sarebbero cresciute dal 54% all’82%.
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